venerdì 4 dicembre 2015

Il limbo italico e il resto

Censis 2015
(di Felice Celato)
Come ogni anno il primo venerdì di dicembre è dedicato al rapporto del Censis (il 49°, quest’anno) sulla situazione sociale del paese. La fotografia del 2015, come le precedenti, è ampia e dettagliata, piena di numeri e di analisi che occorre leggere con attenzione e anche meditare.
Le Considerazioni Generali del Presidente De Rita costituiscono però una sintesi breve e densa [basta andare sul sito del Censis e registrarsi per ottenere il PDF di questo capitolo iniziale del Rapporto] che vale la pena di considerare fra le letture obbligatorie per chi vuole tentare di dipanare la matassa intrecciata di un sistema Italia, nel pieno del suo processo di disarticolazione sul piano  strutturale ed antropologico, eppure – dice sempre De Rita – non ancora del tutto doma sul piano della valorizzazione della sua storia di lungo corso, fidando in quanto in essa continuo…. (“la saggezza popolare”, lo scheletro contadino, l’intima convinzione di non avanzare alla cieca, la consapevolezza di poter contare su una composizione sociale poliedrica…etc).
Le parole chiave che come ogni anno De Rita propone alla considerazione dei suoi lettori, direi sono due: da un lato, “il limbo italico”, la società a bassa consistenza e quindi con scarsa autopropulsione, fatta di “mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone” (questa è una citazione da Filippo Turati), avvolta in una sorta di letargo esistenziale collettivo, dove i soggetti (individui, famiglie, persone) restano in un recinto securizzante, ma inerziale, impauriti di ogni rischio e con tutte le risorse inagite (dal risparmio alle competenze), confusa in una progressiva vuota solitudine….senza neppure la propensione a coltivare la forza fattore “desiderio”; dall’altro, “il resto”, una società che, pur in un alto pericolo di sconnessione, riesce tuttavia a fare storia su se stessa, via via inventando una nuova fase dell’identità nazionale con naturalezza e progressività, senza entrare nella cronaca e nel dibattito socio-politico.
Come mi pare di aver detto altre volte commentando le precedenti Considerazioni Generali di De Rita, le sue intuizioni interpretative sono spesso un misto di analisi spietata sul presente, supportata da un ampio repertorio analitico, e di appassionata ricerca di ragioni di speranza civica e sociologica che, per loro natura, richiedono un volontaristico sforzo interpretativo in affannosa ricerca di supporto. C’è da sperare che il decano dei sociologi Italiani abbia ragione nelle sue speranze, anche se – lo confesso – mi paiono ogni anno meno robuste.
Non a caso, così conclude De Rita: forse non avrà successo a breve, ma è da lì, dal “grande resto” che può cominciare a partire la riappropriazione della nostra identità collettiva. “Il processo di riappropriazione non può  essere messo in moto che da un ‘resto’”, scriveva Derrida, e la cosa vale non solo per il singolo soggetto ma anche per la sua società nel suo insieme.

Roma, 4 dicembre 2015

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