Censis 2015
(di
Felice Celato)
Come
ogni anno il primo venerdì di dicembre è dedicato al rapporto del Censis (il
49°, quest’anno) sulla situazione sociale del paese. La fotografia del 2015,
come le precedenti, è ampia e dettagliata, piena di numeri e di analisi che
occorre leggere con attenzione e anche meditare.
Le
Considerazioni Generali del Presidente De Rita costituiscono però una sintesi
breve e densa [basta andare sul sito del Censis e registrarsi per ottenere il
PDF di questo capitolo iniziale del Rapporto] che vale la pena di considerare
fra le letture obbligatorie per chi vuole tentare di dipanare la matassa
intrecciata di un sistema Italia, nel pieno del suo processo di disarticolazione sul piano strutturale ed antropologico, eppure –
dice sempre De Rita – non ancora del tutto doma sul piano della valorizzazione
della sua storia di lungo corso, fidando
in quanto in essa continuo…. (“la saggezza popolare”, lo scheletro contadino,
l’intima convinzione di non avanzare alla cieca, la consapevolezza di poter
contare su una composizione sociale poliedrica…etc).
Le
parole chiave che come ogni anno De Rita propone alla considerazione dei suoi
lettori, direi sono due: da un lato, “il
limbo italico”, la società a bassa consistenza e quindi con scarsa
autopropulsione, fatta di “mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee
e mezze persone” (questa è una citazione da Filippo Turati), avvolta in una sorta di letargo esistenziale
collettivo, dove i soggetti (individui, famiglie, persone) restano in un
recinto securizzante, ma inerziale, impauriti di ogni rischio e con tutte le
risorse inagite (dal risparmio alle competenze), confusa in una progressiva vuota solitudine….senza neppure la propensione a coltivare la
forza fattore “desiderio”; dall’altro, “il
resto”, una società che, pur in un alto pericolo di sconnessione, riesce
tuttavia a fare storia su se stessa, via
via inventando una nuova fase dell’identità nazionale con naturalezza e
progressività, senza entrare nella
cronaca e nel dibattito socio-politico.
Come
mi pare di aver detto altre volte commentando le precedenti Considerazioni
Generali di De Rita, le sue intuizioni interpretative sono spesso un misto di
analisi spietata sul presente, supportata da un ampio repertorio analitico, e
di appassionata ricerca di ragioni di speranza civica e sociologica che, per
loro natura, richiedono un volontaristico sforzo interpretativo in affannosa
ricerca di supporto. C’è da sperare che il decano dei sociologi Italiani abbia
ragione nelle sue speranze, anche se – lo confesso – mi paiono ogni anno meno
robuste.
Non
a caso, così conclude De Rita: forse non
avrà successo a breve, ma è da lì, dal “grande resto” che può cominciare a
partire la riappropriazione della nostra identità collettiva. “Il processo di
riappropriazione non può essere messo in
moto che da un ‘resto’”, scriveva Derrida, e la cosa vale non solo per il
singolo soggetto ma anche per la sua società nel suo insieme.
Roma,
4 dicembre 2015
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