Auguri vecchi per l’anno nuovo
(di
Felice Celato)
Cari
amici lettori, questo è il quinto passaggio d’anno che trascorriamo “insieme”,
sia pure intermediati da questo blog
che fa anche da complemento ai ben più cari (e per me preziosi) rapporti
personali che ho con molti di voi, alcuni antichi, altri nati in tempi più
recenti all’insegna dell’affetto e della stima. Cinque anni valgono forse la breve fatica di uno sguardo
indietro: che cosa ci siamo detti, in fondo in fondo, in questi cinque anni in
cui abbiamo parlato di tante cose? Da
parte mia, credo, nella sostanza, al netto di sempre possibili fesserie, solo
parole desuete (o forse fuori contesto) che tante volte hanno trovato, nei
vostri commenti in gran parte diretti, spesso parole di consenso, talora di
dissenso, talaltra di affettuosa ironia. Ma io, testone come molti marchigiani,
a molte di esse sono rimasto affezionato, anche se qualche volta ho dovuto prendere
atto di vostre emendazioni; perciò oggi, sfogliando alcuni vecchi post di questi cinque anni, come mio
testardo augurio per l’anno che viene, ve ne ripropongo alcune, quelle che
mi paiono le migliori, e che (almeno queste!) non hanno suscitato espliciti dissensi.
La prima
parola è perdono, non (solo) come
atteggiamento morale ma come virtù civica: abbiamo tutti bisogno di reciproco
perdono, come semplici individui, come individui raggruppati da convinzioni
politiche che, con vece assidua,
hanno commesso tanti errori, come collettività che ha sprecato tanto di se
stessa, come generazione tanto poco sollecita di quelle che verranno. Senza il
perdono reciproco avremo solo tristi rancori con cui alimentare il nostro dialogo
sordo e i nostri sguardi ciechi.
La
seconda parola è verità (ne abbiamo
già parlato negli auguri di Natale, come strada della luce, ma la verità non si
invoca mai abbastanza): quante volte l’abbiamo oscurata la verità, quante volte
– in questo confuso Paese – ce la siamo nascosta perché scomoda, perché povera
di consensi, perché faticosa, perché deserta o poco frequentata! Eppure solo da
essa, solo dalla verità, può nascere un autentico recupero delle nostre virtù,
personali e civiche. Sarà faticoso, lo so, ma non impossibile; e forse sarà
anche doloroso per chi non ama fare i conti con se stesso, ma sarà sicuramente
benefico, per tutti.
La
terza parola, infine, è la più grande (e anche la più desueta), che, in modo
mirabile, si collega con il perdono e con la verità (perché di questa si compiace, 1 Cor. 13,6): carità, sì, carità, non (solo) come virtù
teologale, ma come compagna dei nostri giudizi, delle nostre parole e delle
nostre azioni, come regola delle nostre decisioni, come modo di misurare le
nostre e le altrui insufficienze; sia che si creda nella Verità, sia che,
laicamente, solo si ami la verità.
Potrebbero
bastare queste tre vecchie parole per un augurio forte, se non fosse che esse, per
diventare benignamente concrete, esigono qualcosa di più di un atteggiamento
dell’animo e della mente; esigono infatti, un duro lavoro quotidiano su noi stessi
e sul campo. E dunque ecco le ultime due parole che, spero, abbiano
trasparentemente innervato, nel fondo, le nostre riflessioni.
Così,
la quarta parola è vigilanza: troppe
parole ci scorrono davanti senza che chi le pronunzia abbia sufficientemente vigilato
sul loro senso e sulle loro conseguenze; troppe parole hanno perso il loro significato
per diventare vuoti significanti del nulla. Chi voglia conservare un cervello
funzionante deve vigilare attentamente sull’altrui e sul proprio linguaggio,
portati come siamo ad assorbire senza accorgercene le parole del tempo.
La
quinta parola – fatica – è la meno
gradevole perché evocatrice del biblico sudore (con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai
alla terra, Gn.3,19); ma la associo alle altre nell’augurio per 2016 perché
credo fermamente che senza fatica, senza la fatica delle cose difficili, non si
costruisce né si ricostruisce nulla. E noi, di ricostruirci abbiamo bisogno. E
non esistono soluzioni facili per problemi difficili.
Ecco,
ora provate ad immaginare che il 2016 sia pieno di ciò che queste vecchie
parole significano: perdono, verità, carità, e anche vigilanza e fatica. Ben
difficilmente un nuovo anno potrebbe risultare migliore, per ciascuno di noi e
per la nostra società, se tutte queste parole torneranno a circolare tutte
insieme nei nostri pensieri e, soprattutto, ad ispirare le nostre azioni.
Dunque,
buona vigilanza e fatica a tutti, nel perdono, nella verità e nella carità!
Roma,
27 dicembre 2015
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