Chi parla male, pensa male
(di Felice Celato)
Man
a mano che, con lo stabilirsi della primavera, mi ritornano le energie, mi
ritorna la poco pia voglia di distribuire patenti di imbecillità, anzi,
latinamente di imbecillitas ( imbecillitas = debolezza intellettuale o
morale).
Data
la materia, lo faccio, non ostanti le apparenze, con umiltà perché il tema
tragico lo richiede e perché non sono un esperto di problemi dell'immigrazione;
ma, per bacco!, se ne legge tanta di imbecillitas
che non mi tengo più.
È
stato imbecillis (anzi, neutro: imbecille, anche in latino) aver
presentato i problemi di Mare Nostrum
come problemi di costo. A parte il fatto che non si è mai chiarito se si trattasse
di costo pieno o di costo marginale (fatto tutt'altro che meramente tecnico!),
abbiamo così messo le premesse per l'esito della trattativa europea
sull'argomento: dicevamo che ci costava troppo? Bene ora l'Europa ci mette suoi
soldi! E basta, però.
È
imbecille piagnucolare di abbandono
dell’ Italia da parte dell’ Europa (l’Italia si fa carico di 1,1 rifugiati ogni
1000 abitanti, ben sotto la media Europea, M. Ambrosini, professore di
Sociologia delle migrazioni, Univ. di Milano, lavoce.info, 21 4 2015), doppiamente imbecille se chi lo fa è chi invoca, d’altra parte, la riconquista
della sovranità monetaria (di cui, notoriamente, in passato abbiamo fatto così
buon uso!)
È
imbecille far credere che esista
un'opzione militare con fantomatici bombardamenti di barconi: come immaginare
che si possa fermare una marea mettendo gli occhiali alla luna. A parte le
difficoltà politiche di avere, trattandosi di atto di guerra, l'autorizzazione
ONU (alla quale credono solo alcuni colpevoli ingenui), non vedrei, fra l’altro,
come si possa sceverare fra barche destinate al turpe trasporto di umani o barche
destinate alla pesca.
È
imbecille seguitare a non porsi il
problema nella sua radicalità: l'Europa deve affrontare il problema per quello
che è, un problema umanitario di portata globale e forse epocale, che richiede
una saggezza umana e una visione del mondo che travalica – temo – le attuali
“riserve” di umanità ed intelligenza dei fenomeni.
È imbecille
(e irresponsabile) diffondere sentimenti xenofobi, anzi costruendo su di essi
effimeri programmi elettoralistici, sapendo che il problema non lo risolvono le
barriere.
È imbecille utilizzare
le parole (tanto più se a vanvera) per esorcizzare il problema. Un esempio, fra
i tanti possibili? L’equazione scafisti=schiavisti può essere un concetto
adeguato all’entità dello sdegno ma non alla natura dei fatti. Lo scafista non
esercita, infatti, nessun diritto di proprietà sul trasportato, che, seppure
costretto, tuttavia accetta di essere trasportato in quelle condizioni e con
quei rischi, anzi, addirittura paga per sottoporsi ad essi: coactus, tamen voluit, dice un antico
principio giuridico sulla violenza c.d. psichica, ancorché tragicamente costretto
dalle proprie condizioni di vita, tuttavia ha voluto (e pagato per) quel viaggio.
Lo scafista sarà, anzi è, un fetente, un
approfittatore spietato, un violento anche sanguinario; ma non è uno
schiavista, perché (art. 600 del CP) non si appropria (cioè non esercita ….poteri corrispondenti a quelli
del diritto di proprietà) di una persona per costringerla a prestazioni lavorative o sessuali ovvero
all’accattonaggio o, comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento,
ma, in cambio di un turpe pagamento, lo trasporta in un viaggio del quale tutti
ormai conoscono i rischi e, alla fine di esso, lo riconsegna – se sopravvive
alla durezza del viaggio – in piena, ancorché dura, libertà.
E’ molto rischioso fare queste distinzioni, che sanno
di specioso, di fronte ad eventi tanto tragici, che rivelano sentimenti
bestiali e sconvolgono le persone solo normali; ma questa mania, tipicamente
italiana, di esagerare nell’uso delle parole, sforzandole a significare altro
rispetto a quello che si potrebbe dire, mi è diventato insopportabile. “Chi parla male pensa male” diceva
qualcuno (che non ricordo).
Bene; finito lo sfogo – che mi distrae dalla caccia
alle imbecillitates che corrono sulla
coeva questione dei droni – torno a domandarmi: ma non c’è proprio nessuno, fra i tanti distributori di imbecillitates, che semplicemente senta sulla sua pelle di uomo la tragica eco della domanda di Caino: “sono forse io il custode di mio fratello?”
Roma 25 aprile 2015, 70° anniversario della
Liberazione
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