Si può ingannare tutti per qualche tempo
e qualcuno per sempre,
ma non si può ingannare tutti per sempre
(A. Lincoln)
L’elusione del
reale
(di Felice Celato)
Viene
il momento, temo, prima o poi, in cui l’elusione del reale si fa più ardua, in
cui diventa più difficile scambiare la rappresentazione delle cose con la loro
sostanza, l’affabulazione con le difficoltà vere.
Il
realismo, dicevamo giorni fa con un amico, non è una cinica perversione di chi
non sa (o non vuole) sognare ma un principio essenziale di sopravvivenza; anzi
– aggiungeva l’amico – è addirittura una virtù politica. Ma è anche – questa è,
invece, la mia opinione – una virtù sempre più rara e quindi difficile da
praticare, a mano a mano che si afferma, in tutti gli ambiti, il fascino del
messaggio semplificato e semplificante. E, in effetti, il realismo è
naturalmente contrapposto alla semplificazione perché la realtà è, sempre e
–appunto – naturalmente, complessa.
Ne
consegue che l’azione – cioè l’operare nella realtà e sulla realtà – è un
esercizio di per sé faticoso, difficile, rischioso e spesso incerto negli
esiti; caratteristiche tutte, queste, che ben possono essere (almeno per un
po’) eluse col messaggio semplificato e semplificante, perché l’uomo – si sa –
non ama fatiche, difficoltà, rischi e incertezze; e dunque, istintivamente, ama
chi ne prospetta, appunto, l’allontanamento.
Viene
il momento, però, dicevamo all’inizio, in cui l’elusione non funziona più e il
dato del reale ci viene incontro come un ostacolo troppo largo per noi che ci
siamo abituati alle agili ed eleganti virate dello slalom; il largo ostacolo del reale, invece, è restato lì, ad
attenderci, come un muro, non sempre insormontabile – sia chiaro – ma non più
aggirabile nemmeno dal più agile degli specialisti di slalom; e ci vuole fatica per scalarlo, è difficile e rischioso
aggredirlo con la piccozza, sempre temendo di non farcela. Non è insormontabile
(spesso)….a meno che….a meno che l’infuso di messaggi semplificati che ci siamo
propinati come fosse una edulcorata bevanda di loto non ci abbia, del tutto e
per sempre, fiaccati e resi inani.
Facevo
questa del resto banale riflessione considerando i tanti fronti sui quali mi
pare si esercitano con più larghezza le propensioni elusive dei nostri tempi,
da quella sull’avanzata dell’ISIS, a quella sulla situazione Siriana, a quella
sulla solvibilità della Grecia, a quelle – per venire ai casi (solo un po’ più)
direttamente nostri – sulle reali condizioni della nostra economia o, più in
piccolo, sull’avanzamento dei lavori dell’Expo a venti giorni dall’apertura.
Molte
elusioni, qualche credibile menzogna, qualche illusione, qualche repentino
cambiamento di discorso, molti slogan decettivi (straordinario, da Nobel per la
letteratura, quello del sindaco di Milano sull’Expo: “Non tutto pronto, ma visitabile”), qualche sovrano disprezzo per la
banalità dei numeri, qualche saggio ma generico richiamo all’azione, magari
morbida.
Non
amo affatto la neve e so sciare quanto so giocare a polo senza saper cavalcare;
ma, da sportivo da divano, guardo anche le gare di sci alpino e mi domando cosa
succederebbe se, di là di un dosso, dopo strette “porte” evitabili solo con
giochi di gambe e di piedi, improvvisamente comparisse un muro, fermo e duro,
largo e alto: il muro del fine corsa, immagino.
Roma, 8 aprile 2015
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