lunedì 20 aprile 2015

Letture

Media e domande
(di Felice Celato)
Ho letto con grande interesse il libro di p. Francesco Occhetta Le tre soglie del giornalismo – Servizio pubblico, deontologia, professione (UCSI Editore), un libro ricco di chiare ed acute osservazioni esposte anche con un garbo straordinario, anche dove la materia (le pecche piccole e grandi dell’offerta di informazione) avrebbe suggerito (certamente a me) qualche rudezza.
Alla fine della lettura, mi è rimasto però un timore che da tanto tempo mi rende ostile all’ imperante costume mediatico e, tanto per cambiare, incline ad un certo pessimismo.
Il timore è quello che, nell’incrocio fra domanda ed offerta di informazione,  si sia – ormai irrimediabilmente? – determinato un fenomeno simile a quello che nel XVI secolo Thomas Gresham descriveva a proposito della circolazione delle monete; divenne nota come la legge di Gresham quella che il vecchio cambiavalute inglese descriveva con l’enunciato “la moneta cattiva scaccia quella buona”, alludendo al fatto che,  a parità di valore nominale, le monete di minor valore intrinseco (eravamo in pieno “bimetallismo”) tendono a sostituire sul mercato quelle di maggior valore, perché – ovviamente – queste tenderanno ad essere tesoreggiate. Fuori della metafora monetaria, mi pare cioè che ormai l’offerta di junk information (per intenderci: quella che p. Occhetta descrive così bene, per esempio, “riesumando” il famoso caso Tortora o parlando di deontologia dei giornalisti o alludendo alla relazione fra giornalismo e politica) abbia trovato ( o suscitato?) una domanda così robusta di essa da rendere assai problematica una soddisfacente marcia indietro, quasi come se ci fossimo tutti mitridizzati ai veleni del modo di “informare” fino al punto, anzi, di non riuscire più a fare a meno di una quotidiana dose di veleni.
Nascono così e così prendono campo sistematiche distruzioni di persone magari solo mediaticamente antipatiche, metri di giudizio grossolani e semplificatori, banalità camuffate da esigenze di moralità, artificiose confusioni fra fatti ed interpretazioni faziose, solonismi di incompetenti e catonismi di scostumati; e da ciò – ne abbiamo discusso qui altre volte – muovono le reazioni, gli opinionismi sgangherati che popolano, sulle edizioni on –line dei giornali, gli spazi dei deplorevoli commenti del pubblico-lettore (o telespettatore), spesso animati da un umore becero e distruttivo al limite dell’accettabile.
Fin qui ci si potrebbe fermare alla dolente constatazione del pietoso stato della nostra informazione (che pure – va detto – per fortuna conosce ancora, anche in Italia, qualche lodevole eccezione) e, più in generale, della nostra cultura diffusa o, addirittura, del nostro mutato profilo antropologico. Sarebbe già di per sé una sconfitta del nostro tempo, dal quale, per la ricchezza dei mezzi che il progresso pone a nostra disposizione, avremmo potuto aspettarci cose migliori; ma purtroppo non basta perché, come ricorda p. Occhetta, citando Tocqueville, “la democrazia è il potere di un popolo informato”; e la qualità dell’informazione si riflette inevitabilmente nella qualità della nostra democrazia. In fondo i variegati populismi dei nostri tempi, non solo in Italia ma forse più qui che altrove, sono anche il frutto del corto-circuito (credo di aver già usato questo termine proprio su questo argomento) che si determina nella sequenza fatti, loro narrazione, percezione degli stessi e formazione dell’opinione politica e, quindi, del consenso; sicché, alla fine, è proprio quest’ultimo a risultare “inquinato” dalla qualità dell’input informativo, che diventa distorsivamente formativo.
Se non ho esagerato nel porre queste relazioni – ma non credo – resta l’inquietante interrogativo di cui sopra: come fare marcia indietro? E soprattutto: è ancora possibile fare marcia indietro? Quali energie etiche e culturali possiamo attivare con tutta l’urgenza del caso? O dobbiamo ancora sperare/temere che sia solo il duro impatto con la realtà ad aprirci finalmente gli occhi e la mente?

Roma, 20 aprile 2015

1 commento:

  1. Questo post parte da un presupposto di unidirezionalità: Ovvero come l'informazione ha modificato i gusti dei consumatori e come (e se) può fare marcia indietro... secondo me però la situazione è più complessa in quanto è bidirezionale, sono anche i consumatori che hanno modificato le proprie esigenze e quindi hanno modificato l'informazione. Se si volesse veramente tornare indietro (...e chi lo vuole???? Le stesse persone che si interessano a tutti i dettagli di ogni delitto di sangue che accade in Italia??...oppure lo vuole solo quel pazzo che gira con la lanterna in mano???...) si dovrebbe intervenire sul "loop". L'unico modo noto per spezzarlo è quello di intervenire su chi ancora non è dentro quel loop ovvero sui giovani, sulla scuola (anche se comunque la componente della cultura familiare rende questa interruzione una impresa titanica, e molto lenta in quanto generazione dopo generazione si può solo scalfire poco per volta...instillare un piccolo dubbio alla prima generazione, far presente una domanda alla seconda, iniziare a riflettere sul dubbio con la terza generazione, e iniziare ad elaborare una nuova risposta con le generazioni successive...). Ma è sempre troppo facile scaricare la risoluzione di tutte le storture della nostra società su una scuola senza fondi, senza passione, senza interessi....e, senza essere disposti a sacrificare nulla (es stato sociale) per la formazione, è troppo facile puntare sugli sprechi (sicuramente presenti). E' sempre necessario ragionare a risorse finite, si devono portare avanti 2 filoni ben differenti e tenerli distinti: recuperare più risorse (lotta a evasione, a sprechi e modello di tassazione, e funding dello stato) e impiego delle risorse che dovrebbe ragionare su base percentuale (per quanto possibile dopo aver gestito i costi fissi), ovvero il 10% della raccolta dello stato dedicato alla formazione, l'8% alla sanità il 6% alle pensioni di invalidità, disoccupazione etc... (numeri chiaramente tirati a caso in quanto sono oggetto della politica: vorrei vedere per ogni schieramento politico queste percentuali date in modo chiaro, perchè è troppo facile fare i giochi di prestigio oratori ( https://www.youtube.com/watch?v=BcClGh8fbuE ) per capire veramente le differenze). In quest'ottica deve essere chiaro a tutti che, quando diciamo diamo più fondi alla scuola, stiamo contestualmente dicendo anche diamone meno a qualcun altro (la politica è l'arte delle scelte).... Mi rendo conto che il mio "stream of consciousness" mi ha portato fuori tema e mi ha ricondotto alle solite problematiche che in Italia sono il crocevia di tutti i problemi, mi scuso per la digressione...

    RispondiElimina