Dal salace al serio
(di Felice Celato)
In questo tempo franoso (e la frana è vasta!) pochi hanno la serenità per godersi delle letture che “in tempi normali” (vi ricordate quando avevamo le scuole?) si studiavano ed anche seriamente; in fondo oggi avremmo il tempo per riprenderle in mano! Certo, il tempo, lo avremmo; ma, come dicevo, forse non la serenità. Eppure spesso vale la pena di rispolverarle; ed alcuni, ne sono convinto, riescono a farlo. Per esempio, io mi figuro che il nostro Premier Umanista abbia sempre vicino a sé una copia del capolavoro di uno dei precursori dell’Umanesimo (e quindi certamente un suo ispiratore), Giovanni Boccaccio: in fondo il Decamerone costituisce tuttora un modello di fuga fisica ma soprattutto intellettuale e “cortese” dalla peste nera (che imperversava a Firenze attorno al 1350) attraverso un indefesso esercizio dell’arte narrativa, spesso umoristica, e talora anche erotica, finalizzata soprattutto ad una specie di spiritosa (e magari licenziosa) evasione dalla realtà.
Più trascurata – ahimè! – immagino che sia, in ambienti governativi, la lettura (spero che per alcuni di essi si tratti almeno di una ri-lettura, ma non ne sarei sicuro per tutti!) di quel monumento di scrittura letteraria e civile che fu Alessandro Manzoni, veramente un grande della storia della nostra cultura.
Certo, il Manzoni, se tanto piaceva a Luigi Einaudi (che considerava i Promessi Sposi uno dei migliori trattati di economia politica che siano stati mai scritti), ben difficilmente – penso – sarebbe gradito al palato più rustico dei nostri Umanisti di governo, avvezzi a mettere le mani operose dappertutto, anzi, magari solo a desiderare di farlo, talora nemmeno avendone idea del come. Eppure, ne sono certo, due o tre capitoli del romanzo Manzoniano anche i Nuovi Umanisti farebbero bene a rileggerli; non dico – ovviamente – quelli sulla peste (sarebbe veramente benefico, per carità, ma, altrettanto veramente, sarebbe di cattivo augurio per noi tutti!), ma quello sulle gride sì! In fondo basta solo il I capitolo de I Promessi Sposi, sono solo poche pagine, anche chi non è andato molto avanti con gli studi (e non è il caso del Premier Umanista!) può arrivarci! Sono convinto, per esempio, che la (incerta) repressione delle uscite ripetute – ancorché solitarie e bardate – con la banale scusa della provvista alimentare al supermercato, ne trarrebbe un conforto di saggezza e di …senso (direbbe il Manzoni scorrendo uno dei tanti decreti di questi giorni: all’udir parole d'un tanto signore, così gagliarde e sicure, e accompagnate da tali ordini, viene una gran voglia di credere che al solo rimbombo di esse tutti i furbetti della spesa siano scomparsi per sempre.) [Forse dato il favor legis di cui godono i cani nelle cure dei nostri normatori, le uscite ripetute potrebbero essere concesse tutt’al più per i negozi di pet food; naturalmente purché vicini a casa del temuto furbetto, fortunato proprietario di cane magari un po' tonto. C’è materia per un prossimo decreto!].
Ma queste, lo riconosco, sono cose destinate a passare, non presto e non senza, purtroppo, tanti altri dolori; in fondo, forse, anche la lettura di questo capitolo, può essere trascurata. Majora premunt, direbbe qualche nostro ministro di studi classici. E avrebbe ragione (in fondo siamo secondi solo alla Cina per numero di contagiati e addirittura primi per numero dei morti, un primato che – stavolta – nessuno al mondo ci invidia).
Quella che ritengo, però, essenziale – anche per un Ministro sotto pressione – è la lettura del capitolo XXVIII de I promessi sposi perché la materia ivi trattata (era il capitolo che più piaceva ad Einaudi!) può essere di imminente attualità: la carestia. Eh! Sì, ci manca, dopo la peste anche la carestia! Intendiamoci: il concetto di carestia applicabile ai tempi presenti non significa necessariamente carenza di cibo; ma grave shock della domanda e dell’offerta aggregate con effetti economici e finanziari molto gravi, sì! E la “botta” di questa nostra triste vicenda – l’abbiamo già detto qui – sarà dura, temo assai più di quanto intravvedano i Nuovi Umanisti e comunque ben al di là delle loro capacità di approntare soluzioni (che, del resto, per la natura dei problemi, non possono che travalicare le possibilità di intervento di un singolo Paese, specie se culturalmente e politicamente isolato).
E allora la lettura del XXVIII capitolo dei Promessi Sposi a che potrebbe giovare? A non illudere (o illudersi), intanto, che l’abbondanza possa crearsi per decreto (con la galera e con la corda, direbbe Manzoni).
E questo, in attesa del nuovo necessario, sarebbe già tanto.
Roma, 25 marzo 2020 (Festa dell’Annunciazione, si sarebbe detto una volta)
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