La società signorile di massa
(di Felice Celato)
Complici il meteo poco rassicurante e le deprimenti prestazioni golfistiche autunnali, mi sono (letteralmente) rifugiato nella lettura di un libro che raccomando all’attenzione dei miei followers (termine civettuolo per dire coloro che pazientemente scorrono questi esercizi di tediofobia). L’autore, qui più volte citato, è Luca Ricolfi, sociologo torinese, editorialista di vari giornali, genericamente ascritto alla cosiddetta sinistra ma soprattutto – mi pare – chiaro pensatore post-ideologico; il titolo: La società signorile di massa (La nave di Teseo, 2019).
Provo a trasformare in pillole la tesi di Ricolfi, che muove da dati, direi, noti (perlomeno a chi segue le più accreditate analisi sociologiche) per arrivare ad una sintesi apparentemente épatant (forse, cioè, destinata ad épater les bourgeois che, in fondo, ne costituiscono l’argomento): l’Italia è diventata una società signorile di massa, cioè una società dove coesistono queste tre condizioni che integrano la definizione e che, contemporaneamente, si verificano solo da noi: (1) il numero dei cittadini italiani che non lavorano, al netto di quelli classificabili come poveri e degli stranieri residenti, supera largamente quelli che lavorano. Attenzione: il dato riferito agli italiani che non lavorano considera non solo i disoccupati, ma – più comprensivamente – gli inoccupati, cioè quelli che per condizione di vita o per scelta, o perché pensionati, o coniugi di occupati, o figli a carico in attesa di “scelte di vita”, o beneficiari di anche modeste rendite, etc, possono scegliere di non lavorare; (2) non ostante ciò, il consumo medio supera il quadruplo di quello individuato come livello di sussistenza (12.000 € l’anno per famiglia di due persone). Lo società Italiana è perciò in una condizione signorile dove l’accesso a consumi opulenti da parte di cittadini che non lavorano diventa di massa; (3) il sistema economico ha cessato di crescere (scrive Ricolfi: nel mondo della crescita zero,…, è matematico che i progressi di ego siano gli arretramenti di alter e che i successi di alter siano i fallimenti di ego; con tutte le conseguenze socio-psicologiche che ne derivano per i suoi cittadini).
I pilastri su cui si regge questa società signorile di massa sono essenzialmente tre: (a) l’enorme ricchezza, reale e finanziaria che – nel giro di circa mezzo secolo – è stata accumulata dalle generazioni dei nonni e dei genitori; (b) l’abbassamento degli standard dell’istruzione che alimenta la disoccupazione volontaria dei giovin signori con l’illusione della acquisizione di competenze che, all’apparir del vero, si rivelano inadeguate rispetto all’offerta di lavoro (di qui i famosi giovani choosy di Forneriana memoria o il record Italiano dei giovani NEET, Neither in Employment nor in Education or Training); (c) la formazione… di un’infrastruttura paraschiavistica che fa funzionare la società e le consente di assumere la caratteristica (di sapore antico) di società signorile, basata spesso sull’illegalità e sullo sfruttamento dei nuovi schiavi (stagionali, persone di servizio, dipendenti in nero, etc).
Tralascio – per brevità di sintesi – le molte considerazioni interessanti con cui Ricolfi arricchisce di analisi e di argomentazioni (magari a mio parere non sempre condivisibili) le scheletro del suo ragionamento; e vengo alle conclusioni dell’autore che, mi pare, portano l’acqua al mulino che su queste pagine fa da tempo girare le pale: se ci convincessimo che quel che abbiamo ci basta e accettassimo tutte le anomalie culturali, psicologiche ed esistenziali con cui ci siamo abituati a convivere, potremmo – una volta che la crescita si è arrestata – almeno conservare il benessere che abbiamo raggiunto?
La risposta di Ricolfi è – ovviamente – netta: No. Sia per ragioni di natura finanziaria (che non sto qui a richiamare per le tante volte che ne abbiamo parlato, a proposito di debito pubblico) che per ragioni di produttività, che sono di natura industriale ma hanno effetti finanziari esplosivi (se non si esporta perché i nostri prodotti non sono competitivi, come si pagano le importazioni di cui abbiamo incomprimibile bisogno?).
Le conclusioni sul libro: molto interessante nella tesi e negli argomenti (ovviamente spesso non nuovi), scritto con esemplare chiarezza, anche piacevole alla lettura, si raccomanda a chi (molto intelligentemente) ama essere pro-vocato.
Roma 2 novembre 2019 (dedicato ai nostri cari morti).
Nessun commento:
Posta un commento