….alberi indispensabili
(di Felice Celato)
Da una suggestiva memoria del p. De Bertolis (a Roma, Chiesa del Gesù, tutte le domeniche alle 10, estate ed inverno, con qualsiasi tempo), ha preso le mosse, qualche settimana fa, una riflessione sul sicomoro come una specie di archetipo del luogo da dove si intravvede il vero che passa.
Il sicomoro è un albero della famiglia delle Moracee (diffusa in Africa e Medio Oriente) che cresce fino all’altezza di 20 metri, e raggiunge i 6 metri di larghezza, con una chioma ampia e tondeggiante (fonte: Wikipedia); esso è citato (fonte Eulogos Intra-text) sette volte nell’Antico Testamento e una volta nel Nuovo Testamento (in Luca, 19, 1-10); e deve la sua “notorietà” archetipale proprio al commovente episodio narrato nel Vangelo di Luca a proposito della “conversione del pubblicano Zaccheo” che, a Gerico, cercava di vedere Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là.
[ Forse, come diceva il p. De Bertolis, ognuno nella propria vita spirituale ha un suo sicomoro, un punto più alto della propria esistenza, magari raggiunto con dolore, da dove può intravedere il Cristo che passa in mezzo a noi, per esserne a sua volta misteriosamente riconosciuto e chiamato (“Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”); e di questo, qui, tacciamo, perché, appunto, ognuno ha il suo sicomoro e forse l’ha già scalato o lo sta scalando.]
Ma, per venire a qualcosa di meno intimo, del sicomoro (anzi di interi filari di sicomori), secondo me, abbiamo bisogno anche nella nostra vita di cittadini, in questi tempi di fòlle – reali o mediatiche – che ci impediscono la visione del vero che passa: abbiamo bisogno di vedere come fossimo in disparte rispetto alla confusione che attorno a noi ci rende difficile il farlo. E dal sicomoro, a prescindere dalla nostra statura fisica, si vede meglio che in mezzo alla fòlla, quand’anche materialmente si stia sul divano sfogliando un giornale o guardando la televisione che – della fòlla di Gerico (o di quella di Gerusalemme!) – sono i moderni replicanti; si tratta di capire quali possono essere i nostri sicomori, a loro volta i moderni replicanti dell’albero di Zaccheo.
Qui la scelta si fa ardua, perché persino la scelta del punto da cui guardare risente di personali paradigmi, che funzionano come le lenti dell’ottico Dippold (ricordate l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master? Che cosa vedete adesso? Globi di rosso, giallo e porpora. E adesso?... Cavalieri in armi, belle donne, visi gentili….Provate questa. Un campo di grano – una città. E adesso?...etc. etc.). Estremizzando: non mancano fra i miei amici quelli che sicuramente direbbero che l’autentico “balcone” sulla realtà sta proprio in mezzo alla gente, lì sta – paradossalmente – il vero sicomoro! Io stesso, d’altra parte, non manco del mio astratto (ed opposto) paradigma: dal sicomoro voglio scorgere le effettive misure della realtà, a prescindere da ogni transitoria distorsione percettiva; e dunque il sicomoro che vado cercando è un luogo rialzato e saldo dal quale scavalcare con gli occhi il muro della fòlla. Solo da lì, mi sento sicuro che il bicchiere d’acqua che disseta continui ad apparirmi – nell’identità della sostanza – profondamente diverso dall’ondata d’acqua che travolge.
Del resto, se quel poco di filosofia che ho studiato non mi inganna, la questione è antica e già Platone contrapponeva l’episteme (la conoscenza) alla doxa (l’opinione) [ e, dunque, certo questo non è il luogo (né chi scrive l’uomo giusto) per sciogliere “definitivamente” il nodo]. Ma di nuovo c’è che, oggi, l’opinione è oggetto di una continua e profonda manipolazione (mediatica, politica e politico-mediatica) che altera, ingigantisce o rimpicciolisce le percezioni e le trasforma in argumentum politico, rendendo indistinguibile quello che è autentico da quello che è indotto; e la scelta del sicomoro si fa sempre più decisiva.
Quale che sia la scelta del vostro sicomoro, è bene, secondo me, che ciascuno ne abbia uno, ma con coscienza e passione del guardare in disparte, quand’anche scegliesse di trovarlo in mezzo alla gente. La questione civile del nostro paese (in questi tempi così rumorosi) mi pare stia tutta nel numero dei sicomori lungo la via (qualunque ne sia la natura) e nel numero delle persone disposte alla piccola fatica del salirvi ogni giorno per vedere.
Roma 14 novembre 2019
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