Il naufragio delle civiltà
(di Felice Celato)
Di nuovo con una lettura. Stavolta è un autore da me molto amato (Amin Maalouf), soprattutto come romanziere ma anche come saggista. I lettori più antichi e di migliore memoria, ricorderanno un post Letture di quasi 7 anni fa (10 marzo 2013) dedicato al romanzo di Maalouf che allora segnalavo (I disorientati), dove, appunto, l’autore componeva narrativamente un quadro dei dubbi, dei rimpianti, dei rimorsi e delle nostalgie degli emigrati dal Libano nell’ultimo trentennio del secolo scorso; e, allo stesso tempo, svolgeva una appassionata rassegna delle ragioni della permanenza di quelli che, invece, erano restati in patria mentre i più fortunati (o i più deboli? o i più coraggiosi?) se ne allontanavano.
Dell’autore e dei suoi libri si dice qualcosa nel vecchio post ( facilmente clickabile qui accanto, risalendo alla data): 70 anni, ora francese e Accademico di Francia ma nato a Beirut da genitori cristiani, radicato per parte di madre in Egitto e per parte di padre in Libano, autore di romanzi e di saggi, tutti in qualche modo focalizzati nell’area geografica e culturale del Medioriente Mediterraneo. E dunque non ritorno sull’autore. Vengo invece al libro di oggi: Il naufragio delle civiltà (La Nave di Teseo, 2019) può considerarsi in qualche modo una elaborazione concettuale di quel “lutto” per ciò che l’autore chiama il naufragio dell’universo levantino. Eppure – così mi è parso – l’intero libro (lo dico subito: gradevolissimo alla lettura, anche perché in larga parte strutturato come una specie di biografia intellettuale) rimane emotivamente pervaso dal senso di “quella” tragedia, di quel naufragio che ha affondato il Levante plurale, trasformandolo nell’emblema del fallimento Mediorentale e, addirittura, nel catalizzatore di una più vasta crisi di identità della nostra civiltà.
Intendiamoci: si può legittimamente dubitare – e l’autore non manca di dar atto di una possibile sua esacerbata sensibilità al riguardo – della fondatezza di tutte le relazioni causali che Maalouf stabilisce fra gli eventi di cui fa rassegna; ma rimane vivo, in tutto il libro, un senso drammatico della storia che costituisce il nucleo delle convinzioni dell’autore: è a partire dalla mia terra natale – scrive Maalouf – che le tenebre hanno cominciato a diffondersi in tutto il resto del mondo. Qualche anno fa avrei esitato a scrivere quest’ultima frase considerandola un’approssimazione grossolana derivante dalla mia esperienza personale e da quella dei miei cari. Oggi non c’è più alcun dubbio che le convulsioni che scuotono il pianeta sono strettamente legate a quelle che hanno agitato il mondo arabo negli ultimi decenni.
Francamente, come accennato, non mi sentirei di far mia un’opinione così radicale; ma nemmeno di negare del tutto il senso del fil-rouge che Maalouf dipana con acume e abbondanza di argomenti e di testimonianze dirette.
Nella carrellata (sempre interessante) sulla storia contemporanea, colpisce la concentrazione attorno all’anno 1979 di eventi che Maalouf considera autentiche pietre miliari nel processo di disgregazione del mondo, senza peraltro mai negarne, quando ci sono, le intrinseche pluralità di senso: le due rivoluzioni conservatrici (Thatcher e Reagan), la crisi terminale dell’URSS, lo shock petrolifero, l’avvento al potere di Deng Xiaoping e di Giovanni Paolo II al soglio pontificio, il rapimento e l’uccisone di Aldo Moro, il ritorno a Teheran di Khomeini, l’assedio all’ambasciata americana sempre di Teheran, l’assalto alla moschea della Mecca da parte dei jihidisti sunniti, etc.
Maalouf conserva costantemente (e prudentemente) una certa distanza dai nessi causali troppo stretti; e spesso costella il flusso delle memorie di oneste remore intellettuali. E tuttavia le connessioni (quanto meno temporali) che disegna con penna molto felice fanno emergere con chiarezza le sue tristezze, quella antica (per i due paradisi della mia infanzia. Quello di mia madre prima [l’Egitto] e quello di mio padre poi [il Libano]) e quella, più ansiosa ed articolata, per il fantasma di un naufragio imminente che sente aleggiare sulla storia della nostra civiltà, sotto forma di concezioni tribali (dell’identità, della nazione e della religione), di esaltazioni individualiste, di incapacità di autogenerazione di efficaci punti di riferimento e, infine, di derive orwelliane della nostra convivenza, come sottoprodotto delle nostre ansie per la sicurezza.
Complessivamente, il libro di Maalouf mi pare, come dicevo all’inizio, più un’intelligente elegia che una pura esegesi intellettuale; e perciò si legge con grande piacere, non ostante qualche opinione più difficile da condividere.
Roma, 8 ottobre 2019
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