domenica 13 ottobre 2019

Rimuginazioni del Camminatore Urbano

Filosofia della miopia
(di Felice Celato)
Il merito (o il demerito) di queste rimuginazioni del C.U.R. (Camminatore Urbano, appunto, Rimuginante) è tutto di un singolare, distintissimo signore, dal forte accento forse tedesco o – a giudicare dall’ottimo Italiano che parlava – almeno altoatesino (se così si può dire ancora), col quale ho avuto una singolare conversazione surreale, affacciati su quel breve tratto di Roma che si scorge da ponte Garibaldi. Forse vale la pena che ve ne dia un cenno. Dunque, questo signore, affacciato verso l’Isola Tiberina, mi ha chiesto, l’altro giorno, di spiegargli quel che si vedeva; e, per giustificare la curiosa domanda, mi precisava sorridendo: "Sa, è la prima volta che vengo a Roma e, per di più, sono molto miope!”.
Dopo la mia breve spiegazione (l’Isola, san Bartolomeo, il ponte Cestio, la cupola della sinagoga, sullo sfondo le statue alte sopra al Vittoriano, etc), il distinto signore ha tirato fuori dal taschino un occhiale dalle lenti molto spesse e ha riguardato il panorama con apparente, grande soddisfazione. Poi, forse vedendomi perplesso, mi ha spiegato: “In fondo anche la miopia ha i suoi vantaggi: delle cose più lontane, posso scegliere quali vedere, sempreché ne valga la pena!”. E sorridendo si è allontanato, dopo aver riposto gli occhiali nel taschino, col passo sicuro di chi, in fondo, per il momento, vuole accontentarsi di vedere solo fino all’altro lato del ponte.
Dunque: non ci avevo mai pensato ai curiosi “vantaggi filosofici” della miopia, della quale – del resto – soffro anch’io, sia pur lievemente; in verità sono, invece, fortemente astigmatico e, senza occhiali mi pare di vedere tutto confuso, soprattutto di notte. Per questo indosso gli occhiali, da quando mi sveglio a quando spengo la luce: vedere bene i contorni delle cose mi illude di avere anche un cervello acuto e magari raffinato; e così mi consolo facilmente della scomodità di portare sempre gli occhiali sul naso (persino quando gioco a golf!).
Ma, mi è venuto di pensare, se occorre essere molto saggi ed ironici per apprezzare i “vantaggi filosofici” della miopia, più certamente questo diffuso difetto della rifrazione oculare ha anche i suoi drawbacks “filosofici”, che – a pensarci bene – sembrano proprio una specie di volontaria cifra del nostro tempo: la nostra shortsighted  umanità – così mi pare – si è così abituata alla sua miopia che sembra aver maturato la tragica convinzione che, invece di essere semplicemente oltre il suo breve o medio campo visivo, ciò che non vede, in realtà, proprio non esista. 
Non ne voglio fare qui una questione di opzione fondamentale per la fede (direbbe Joseph Ratzinger: ciò che non può essere visto, quello che non può assolutamente entrare nel nostro raggio visivo, non è affatto l’irreale, ma è anzi l’autentica realtà: quella che sorregge e rende possibile la realtà); m’interessa – invece, qui –  più fisicamente, solo ciò che tangibilmente esiste, magari al di là del nostro campo visivo; forse, appunto, non lo vediamo e non vogliamo nemmeno indossare gli occhiali della storia o dell’esperienza per almeno intuirlo. Ma certamente c’è; e nessuna forma di volontaria agnosia percettiva o di maligno presentismo deve indurci ad ignorarlo, aspettando che lo scorrere dello spazio o del tempo della nostra vita mortale ci costringa a toccarlo con mani, quando l’avremo davanti, a misura del nostro innanzi che siamo costretti ad esplorare con gli occhi dell’hic et nunc.
Ecco: il surreale interlocutore del vostro C.U.R. può mettere gli occhiali nel taschino per scegliere, in qualche modo, ciò che gli va di vedere bene; in fondo sa perfettamente che la sua vista – senza occhiali – è proprio corta. A noi – soprattutto alle guide cieche del nostro mondo – non deve essere consentito di scambiare la realtà col proprio raggio visivo.
Roma, 13 ottobre 2019





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