Una nuova passione per la verità
(di Felice Celato)
L’interesse (e usiamo pure la scandalosa parola: il consenso) suscitato presso amici lettori e lettrici di queste riflessioni sui bandoli di matasse del nostro malessere inquieto, mi induce a proseguire nel ragionamento sul tema, ovviamente aperto a reazioni, contributi e dissensi; lo faccio – qui e cautamente – partendo dall’apparente iato fra consenso e verità.
Prendo spunto da una considerazione di Yuval Noah Harari (di lui abbiamo già parlato commentando Sapiens. Da animali a dei, in un post del 10 gennaio dell’anno scorso) contenuta in un suo libro che sto leggendo: 21 Lezioni per il XXI secolo (Bompiani 2018) [N.B.: non ho ancora finito il corposo volume, sul quale ritornerò a lettura ultimata. Ne ho lette, di queste Lezioni, solo 5 sulle 21 programmate dall’autore; ma, come dicevo, il volume è corposo e la digestione delle 450 pagine richiede tempo. Tuttavia, mi pare di aver letto quelle più vicine al nostro tema.] Dunque, scrive Harari (Lezione n. 3, Libertà) che i referendum e le elezioni riguardano sempre i sentimenti, non la razionalità delle persone; sicché, esemplifica Harari, il famoso quesito sulla Brexit rivolto ai cittadini del Regno Unito avrebbe dovuto più correttamente essere “Che cosa provi al riguardo?” piuttosto che “Che cosa ne pensi?”.
Ora, poiché referendum ed elezioni sono gli eventi con i quali la democrazia misura il consenso, dovremmo concludere (nella prospettiva di Harari) che essi sono, per natura, in qualche modo indifferenti alla verità, come lo sono tutte le cose che non riposano sulla conoscenza razionale (o per lo meno ragionante) del mondo [scriveva del resto Sant’Agostino: a che cosa perviene chi sa usare la ragione, se non alla verità?]; cioè che essi sono, in potenza, una manifestazione politica di quell’ignoranza globale devastante che Hans Rosling scansiona nel suo libro Factfulness (di cui pure abbiamo qui già parlato in un post del 28 giugno dell’anno scorso).
Se così fosse, avrebbe ragione Harari nell’individuare nel consenso il tallone d’Achille della democrazia liberale, fondata – come ognuno sa – sull’assunto dell’intrinseca saggezza del voto popolare. [Da qui Harari parte con una serie di considerazioni sui rischi delle due rivoluzioni in atto, quella bio-tecnologica e quella informatica; ma…diciamo che il futuro esula per il momento dai nostri ragionamenti, e – malvolentieri – accantoniamo questo seguito futuristico, ratione brevitatis.]
Bene; traiamo qualche provvisoria conseguenza da questi stimoli ulteriori a pensare, siano o no siano “perfetti” nel loro portato. Dovremmo concludere che il tallone d’Achille della democrazia liberale sta nell’intrinseca pre-razionalità del voto popolare.
Non a caso, la mobilità dei consensi dell’elettorato (che, a misura di giudizi razionali, di per sé, non sarebbe un male) sembra essere ormai la cifra costante dell’aggregazione del consenso democratico, in Italia ma anche all’estero, nel resto del nostro mondo lato sensu occidentale: dall’emergenza dell’invasione di immigrati, alla emergenza securitaria, alla Brexit, alla emergenza della concorrenza globalizzata, alle urgenti tensioni identitarie, ai nazionalismi più sgangherati, tutto serve per suonare le campane della patria assediata (e per muovere ampie masse di elettori eccitati); come se la ragione (le sue misure, i suoi fondamenti esperienziali, i suoi nessi di causalità, etc.) avessero perso ogni presa per l’elettore democratico, affamato di comprensione iper-semplificata. Rischiamo di essere cioè società “liberali” basate sull’emotività collettiva, a tal punto che la caratteristica stessa di società liberali (basate, appunto, sull’intrinseca saggezza del voto popolare) può essere radicalmente messa in discussione da un devastante emozionismo, magari sostenuto da sdegni collettivi, talora mediaticamente sollecitati anche a costo di ripetere come opinione di osservatori ciò che era solo lo slogan di un politico. [Dice spesso un mio amico che l’Italia sembra diventata una repubblica democratica fondata sull’indignazione! ]
L’indifferenza alla verità – di cui dicevamo nel post precedente – presuppone una profonda sfiducia nella ragione e dissolve la consistenza del consenso nel fluttuare confuso dei turbamenti, anche artificialmente suscitati. Il tallone d’Achille delle società liberali rischia di restare pericolosamente scoperto. Urge una nuova e ragionante passione per la verità. “Vasto programma!”, direbbe De Gaulle.
Roma, 27 ottobre 2019, torna l’ora solare.
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