Bilanci di corto respiro
(di Felice Celato)
Ricorrendo, domani, l’anniversario di quella che io considero forse la più significativa svolta politica degli ultimi trent’anni in Italia, vale la pena – anche per soppesare i nostri sensi del presente – ripercorrere brevemente quelle che, su questo blog, erano state le attese prima del voto e le impressioni ex post, sia pure ancora a caldo.
Dunque il 1° marzo del 2018 (tre giorni prima del voto) le nostre aspettative erano per un Italia che sarebbe uscita dalla prova elettorale più divisa, egualmente confusa, più pericolosa, più pericolante di come vi era entrata; e ciò – scrivevamo – a prescindere da chi “vincerà”, in quanto l’Italia ci sembrava soffocata dai suoi problemi di sempre, esaltati da un contesto internazionale dove l’insicurezza e la domanda di protezione purchessia sono diventate una cifra diffusa del mondo lato sensu occidentale, non contrastati (da noi) da adeguati anticorpi. Anzi, in questo senso, le elezioni finivano per sembrarci, paradossalmente, “una passione inutile”, un esercizio democratico a cui ci sottoponiamo con scettica passione, per esorcizzare il vuoto che ci siamo costruiti d’attorno… aggrappati alla esile speranza che il nostro paese potesse risultare, alla fine, migliore della classe dirigente che ha espresso [nei decenni più recenti].
Qualche giorno dopo, a scrutini ancora “caldi” (il 6 marzo), ancora formalmente incerti su come si sarebbe composto lo scenario di governo del Paese, finivamo per rifugiarci in considerazioni di carattere, per così dire, filosofico: nelle moderne democrazie, c’è ancora spazio per la politica del “difficile”? O, necessariamente, per vincere, la politica deve essere “facile” (in ciò che prospetta, prima; e in quello che fa poi, come racconta la storia del nostro debito pubblico)? Insomma: oggi, con il dominio della comunicazione che caratterizza le nostre società e in una situazione per molti aspetti assai complicata, ha senso politico porre al popolo difficili obbiettivi per il domani, da duramente perseguire nell’oggi? Ovvero occorre coscientemente e ogni giorno costruire il gap che separa ciò che si propone da ciò che si dovrà comunque fare (con ciò, in fondo, confezionando suggestive narrazioni)? Per sintetizzare brutalmente: il popolo vuole ascoltare solo quello che gli fa piacere? Il politico vuole solo capitalizzare il suo transitorio periodo di potere, prima di essere processato dai fatti?
Bene; oggi a distanza di un anno varrebbe forse la pena, come dicevamo all’inizio, di riconsiderare criticamente ciò che allora ci sembrava e di abbozzare un primo bilancio, cominciando, come è ovvio, dall’azione governativa: qui, per la verità, se si prescinde dagli innegabili effetti negativi di breve periodo (spread, contrazione economica, isolamento internazionale, etc), tutti correlati ad alcuni atteggiamenti assunti con clamore estroverso (cioè, etimologicamente, volto all’esterno), occorre riconoscere che un sereno giudizio più ampio è forse prematuro, essendo l’azione di governo in fondo tuttora incentrata su narrazioni non ancora sperimentate nelle conseguenze di medio e di lungo periodo, sul piano politico (posizionamento internazionale), economico-finanziario (ripresa economica e debito pubblico) e sociale (immigrazione, andamenti demografici e, soprattutto, diritti civili). E perciò sospendiamo (perplessi ma molto preoccupati) ogni giudizio prospettico. Il fatto che ci lascia più sconsolati è che, purtroppo, le nostre aspettative – per quanto per loro natura fallaci e provvisorie – da ultimo si sono costantemente rivelate presaghe di veri guai; non – si badi bene – per l’acume di chi le coltiva e le esprime ma per la natura evidente dei sottostanti problemi (culturali, sociologici e – ebbene sì, lo ripetiamo con dolorosa tenacia! – antropologici) che caratterizzano da non poco tempo il nostro presente. Problemi ai quali, quand’anche lo si volesse veramente, è arduo mettere mano in breve tempo e in un contesto internazionale così compromesso qual è quello che viviamo e nel quale – come abbiamo visto, da ultimo, anche nelle Letture serie da poco segnalate – molti fenomeni si collegano, pur nella diversità dell’intensità e della resilienza civile dei diversi soggetti.
Roma 3 marzo 2019
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