Popolo vs.Democrazia
(di Felice Celato)
E’ un vero peccato che già il 16% di quest’anno bellissimo sia fuggito via, portando con sé tante belle cose, tante parole preziose, tanta reciproca stima ed affetto, tante azioni intelligenti e lungimiranti! Fortunatamente, però, ce ne resta ancora da vivere l’84% (se Dio vuole, naturalmente). Per moderare la gioiosa spensieratezza dell’imminente giovedì grasso (domani!), mi è sembrato saggio ritornare a letture meno evasive di quelle suggerite l’altro giorno e così ho deciso di arricchire l’ampia collezione di letture sul presente politico del mondo occidentale affrontando il corposo volume di Yascha Mounk Popolo vs. Democrazia - Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale (Feltrinelli 2018, disponibile anche in ebook dove, fortunatamente, come noto, i caratteri si possono scegliere).
Il testo mi pare meriti una calorosa raccomandazione ai lettori di questo blog perché combina una notevole ampiezza della ricerca (l’autore è un tedesco, giovane professore ad Harvard) con un’esposizione esemplarmente chiara e – soprattutto nella parte analitica – molto convincente.
Il tema è quello da molto tempo assai caro a chi scrive, avendone iniziato a leggerne molti anni fa (The future of freedom - Illiberal democracy at home and abroad, di Fareed Zakaria, pubblicato negli USA 16 anni fa, nel 2003, quando si poteva pensare che esagerasse), essendosene appassionato e cogliendone tuttora l’attualità, incrementata anzi dalla osservazione di come, da allora, il mondo occidentale è evoluto (e l’Italia con esso, come al solito con le sue peculiarità, ordinariamente peggiorative).
L’approccio di Mounk è semplice: che cosa si intende per democrazia e per democrazia liberale? (1) una democrazia è un insieme di istituzioni elettive vincolanti che traducono efficacemente le opinioni del popolo in politiche pubbliche; (2) le istituzioni liberali proteggono efficacemente lo stato di diritto e garantiscono i diritti individuali come la libertà di parola, di culto, di stampa e di associazione a tutti i cittadini (comprese le minoranze etniche e religiose); (3) una democrazia liberale è semplicemente un sistema politico che è sia liberale sia democratico: un sistema cioè che protegge i diritti individuali, da un lato, e traduce le opinioni del popolo in politiche pubbliche, dall’altro.
La democrazia liberale – la combinazione unica di diritti individuali e governo popolare che per molto tempo ha caratterizzato la maggior parte degli esecutivi in Nord America e in Europa occidentale – si sta sgretolando. E al suo posto stanno sorgendo due nuove forme di regime: la democrazia illiberale (scrive Mounk, in fondo riprendendo il discorso di Zakaria) o democrazia senza diritti, e il liberalismo antidemocratico, o diritti senza democrazia.
Il lento divergere di liberalismo e democrazia è proprio ciò che sta accadendo ora e le conseguenze potrebbero essere terribili.
Segue un’analisi ad ampio spettro delle tendenze in atto nelle forme politiche di questa (non rassicurante) evoluzione; che, del resto, affonda le sue radici in quella che Mounk chiama l’erosione delle condizioni di possibilità della democrazia: in questo contesto, spiccano il venir meno delle dinamiche costantemente positive degli standard di vita delle popolazioni occidentali (in preda all’ansia per il futuro, i cittadini hanno cominciato a vedere la politica come un gioco a somma zero, in cui qualsiasi progresso per immigrati o minoranze etniche avviene a loro spese), l’omogeneità etnica (mentre una parte della popolazione accetta il cambiamento, o addirittura lo sostiene, un’altra parte si sente minacciata e offesa. Di conseguenza, in tutto l’emisfero occidentale si sta diffondendo una vasta opposizione al pluralismo etnico e culturale) e i costi dell’organizzazione politica che internet ha pressoché azzerato (l’avvento di internet, e in particolare dei social media, ha rapidamente modificato gli equilibri di potere tra insider e outsider della politica. Oggi qualsiasi cittadino può condividere informazioni virali con milioni di persone in un batter d’occhio).
Fin qui, brutalmente sintetizzato, il senso della parte analitica del libro, che però, come è ovvio, merita una ben più attenta lettura; segue una parte propositiva (Rimedi) che si può – come è ancora più ovvio – condividere o non condividere in ogni singolo punto, ma che in buona sostanza si richiama ad una corretta comunicazione sociale e a quelli che potremmo chiamare gli eterni principi del buon governo; principi che, dati i tempi, vale proprio la pena di ripercorrere tanto sembrano desueti e tanto gravido di minacce sembra il presente: se vogliamo proteggere sia la pace che la prosperità, sia il governo popolare che i diritti individuali, dobbiamo riconoscere che questi non sono tempi ordinari. E prendere misure straordinarie per difendere i nostri valori.
Concludo: un libro da leggere, per riflettere, per valutare con attenzione e comprensione e, infine, anche per (in qualche modo) contestualizzare i nostri problemi, senza con ciò sminuirne la complessità e la gravità e senza tacere dell’urgenza di rimedi.
Roma 27 febbraio 2019
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