L’oro del popolo
(di Felice Celato)
Dicevamo ieri che, in settimana, l’oro avrebbe occupato il campo del cacio (e del prezzo del sottostante latte ovino della Sardegna); dunque eccoci qua a parlare dell’oro!
“In tempi men leggiadri e più feroci” l’oro del popolo veniva versato alla Patria: era il 1935 e, per sostenere i ruggiti bellicosi del Duce, tutti i cittadini (allora si diceva “tutti gli Italiani”) vennero chiamati a conferire (almeno) le fedi nuziali: pare che la “raccolta” (solo parzialmente spontanea, come molte cose di quei tempi) abbia fruttato una quarantina di tonnellate di oro. [La mitologia familiare vuole che la mia nonna materna, nonna Checca, vedova giovane e devota (a Dio, al marito e ai figli, e fors’anche alla Patria), si sia sottratta, con qualche sotterfugio, alla separazione dalla vèra nuziale donatale dal marito, scomparso assai prematuramente; povera nonna Checca: in ogni altra cosa così lontana da ogni forma di astuzia, eppure – figlia del popolo com’era – all'astuzia pare sia ricorsa per non anteporre la Patria al simbolo del suo amore!].
Ma i tempi cambiano: oggi va di moda l’inverso: l’oro della Patria (ci si riferisce, qui, alle oltre 2.500 tonnellate di oro facenti capo alle riserve auree della Banca d’Italia) torni ai cittadini! Ma non, come pure si era ventilato qualche anno fa, per rimborsare (in minima parte) il debito pubblico che ciascuno di essi ha sulle spalle [e che c’entra?! Quello è dello stato, mica del popolo!]; bensì per finanziare ulteriore spesa pubblica e, quindi (secondo la costante regola della politica Italiana che tanto bene, negli anni, ha arrecato alle nostre finanze), per “finanziare” ulteriore consenso per governanti del tempo.
Certo, l’oro è del popolo (ove mai esista un popolo)! Ma, si dà il caso, il famoso (e sempre sia lodato) popolo non può farne ciò che vuole; e non solo per evidenti ragioni di mercato (uffa! co’ ‘sto mercato!). Circa un anno fa (in tempi non sospetti, si direbbe), quello che era ed è tuttora – sia pure in prossima scadenza - il Direttore Generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, in un breve e piacevolissimo libro del quale consiglio a tutti la lettura (Oro, Edizioni il Mulino, 2018, disponibile in e-book), scriveva con esemplare chiarezza: La Banca d’Italia è, per la legge italiana, un istituto di diritto pubblico, che opera quindi nel pubblico interesse. Il diritto europeo e quello italiano le affidano il compito di essere la banca centrale dell’Italia nell’ambito del Sistema europeo di banche centrali. Ha la proprietà giuridica dell’oro, ma non può farne quello che vuole, non è come un ricco signore privato che possiede un gioiello. La gestione delle riserve auree deve rispettare le norme che regolano l’attività di una moderna banca centrale. In questo senso, da un punto di vista politico, in ultima analisi l’oro è del popolo: questo può sempre, attraverso le sue istituzioni rappresentative, cambiare le norme che disciplinano la banca centrale e la sua gestione delle riserve. Tenendo sempre presente l’adesione dell’Italia all’area dell’euro e gli obblighi che ne conseguono.
Già, si potrebbe agevolmente argomentare, ma il popolo è sovrano, almeno a casa sua, e può sempre fregarsene dell’euro e [de]gli obblighi che ne conseguono
Tutto vero (apparentemente). Non sarebbe la prima cosa della quale, come di tanto in tanto amiamo dire, ce ne freghiamo (o meglio: amiamo pensare di potercene fregare).
Però, per non perdere definitivamente il senso dell’orientamento (messo a dura prova dai giorni che viviamo), preferisco restare abbarbicato a quanto scrive Rossi (che qualcosa ne sa) a conclusione del suo libretto: Si potrebbe pensare… [forse, anche] a una politica di dismissione molto graduale delle riserve auree, che rispetti l’accordo fra le banche centrali e non turbi il mercato dell’oro. Con ciò vendendo tra l’altro a un prezzo che non determinerebbe per la Banca d’Italia (e quindi per lo Stato italiano, a cui in ultima analisi vanno i profitti netti della Banca) troppe perdite in conto capitale. È possibile? In teoria sì, in pratica no…..una «politica» di questo genere [inutile persino per ridurre significativamente il debito pubblico] non sarebbe occultabile al pubblico e svelerebbe l’intenzione italiana di liberarsi dell’oro, unico fra i paesi del mondo. Un segno di disperazione, che affretterebbe proprio quella crisi per fronteggiare la quale tutti detengono oro.
Vedremo...forse.
Roma 12 febbraio 2019
Nessun commento:
Posta un commento