domenica 24 marzo 2019

La fortuna di Gianni

L’Europa e la “parabola” del teologo
(di Felice Celato)
Rileggendo (per la terza volta in modo sequenziale) il monumentale libro di Joseph Ratzinger Introduzione al Cristianesimo (non farlo almeno una volta nella vita è come non aver mai visto il mare), ho ritrovato, nella prefazione alla prima edizione, una lunga citazione di una fiaba dei fratelli Grimm, intitolata, appunto, La fortuna di Gianni. L’attuale Papa Emerito, allora (si era nel 1968), ne fece uso per descrivere la schiera di quegli scervellati che considerano sempre il nuovo come automaticamente migliore. Il riferimento della citazione Ratzingeriana era teologico e, anche in quest’ambito, rimane, secondo me, più che attuale (tanto che mi tornava in mente oggi, mentre ascoltavo la pericope dell’Esodo: Mosè, vedendo che il roveto ardeva nel fuoco ma non si consumava, si avvicinò con grande rispetto, domandandosi: Perché il roveto non brucia?). E tuttavia, per molti aspetti, l’apologo si presta ad una estrapolazione, "un'esportazione” in ambito politico, dove – ahinoi! – non ci sono roveti che non bruciano e tutto ciò che si incendia si consuma e finisce in cenere.
Vediamo brevissimamente la storia: il buon servo Gianni ricevette dal suo padrone, riconoscente per i sette anni di ottimo servizio prestato, un munifico regalo: un pezzo d’oro grosso come la testa di Gianni stesso. Fattosene carico, Gianni, tutto contento, si avviò per tornarsene a casa; ma, durante il percorso, sempre a caccia di soluzioni che alleviassero la fatica del carico (un pezzo d’oro grande come una testa doveva pesare molti chili!) e offrissero anche “promettenti” vantaggi per il futuro, il buon Gianni si lascia indurre a continui baratti: prima l’oro contro un cavallo, poi una mucca contro il cavallo, poi una maialino contro la mucca, poi ancora un’oca grassa contro il maialino ed, infine, una mola da arrotino contro l’oca grassa. Sempre lieto dei “vantaggiosi” baratti effettuati e del più lieve procedere, il buon Gianni, giunto assetato vicino ad un fiume, si chinò sull’acqua per abbeverarsi, ma la mola gli scivolò nel fiume, perdendosi, appunto, nelle acque di questo.
Credo che sia a tutti chiaro che “la morale” della favola si presta almeno ad una doppia lettura: una (che definirei funzionalista), fatua e, forse per questo, probabilmente popolare in certi ambienti del nostro “pensare”contemporaneo, che vorrebbe, la favola, maestra di un sano disprezzo per la materialità dei beni e per il loro “valore” intrinseco; un’altra (che i detrattori potrebbero, invece, definire materialista) triste e probabilmente assai impopolare, tutta puntata sulla materialità dei beni sempre scambiati in pejus dal buon Gianni: ci rimetteva sempre, Gianni, nei baratti, senza mai rendersene conto; fino al punto di arrivare alla mèta, senza più niente, dopo aver sperperato il tesoro che gli era stato donato, per cose che gli erano apparse, di volta in volta, migliori e più utili: in fondo, quel tesoro avuto in dono dal suo padrone, era pesante da portare: esigeva fatica, sudore e duro cammino; e alla fine, un cavallo, una mucca, un maialino, un’oca o una mola erano apparsi al buon Gianni, sempre più promettenti di quel che occorreva portare sulle spalle!
Bene; mi direte: dove vai a vedere  “l’estrapolabilità” della…parabola del teologo dall’ambito teologico a quello politico?
Ve lo dico subito. A parte il fatto (lo ripeto) della perdurante attualità dell’apologo anche nel suo ambito originario, provate ad applicarla al mood politico verso ogni eredità del passato: il nuovo sarà automaticamente migliore, come ironizzava il giovane Ratzinger sulle teologie che si affacciavano ai suoi tempi. Tanto per fare un esempio, vicino per scadenze elettorali: il grande dono dell’Europa che ci è stato fatto dai nostri genitori: certo, può facilmente essere fatto apparire un fardello inutile, un gravoso residuo di romantiche idee post-belliche, da trascinare a furia di sudore: più comodo barattarlo! Magari con una piccola signoria sul nostro paesino (basta, con ‘ste regole imposte dai burocrati di Bruxelles, con ‘ste ubbìe sul debito, con ‘sti problemi di coordinamento a livello europeo!); e questa, agognata, piccola signoria confinaria, poi,  magari, barattarla con autonomie à la carte per ogni singola regione; e questa, a sua volta, poi, impegnarla per meglio proteggere le comunità locali, paesane o valligiane che siano. Tutte forse già poste lungo il fiume, dove… Gianni vide affondare la semplice mola che gli restava dopo tanti baratti.
Roma 24 marzo 2019 (vigilia della Festa dell’Annunciazione del Signore: et Verbum caro factum est)
Post-scriptum(25.3.19)
Mi si fa notare l’oscurità della connessione fra la (fugace) citazione del roveto ardente del passo del Genesi e la “polemica” sui teologi ai quali si riferiva Joseph Ratzinger.Non ho problemi a… decriptarmi: la domanda che Mosè faceva a sé stesso (Perché il roveto non brucia?) mi era parsa la sua prima intuizione di un fuoco sovrannaturale, come quello che arde, senza consumarsi, nel cuore della Verità rivelata; un’intuizione che, forse, sfugge a coloro che, come il povero Gianni, s’inducono a scambiare quel fuoco sovrannaturale che hanno ricevuto, con fiammelle di sempre più breve lucore, fino a ritrovarsi con le dita bruciate dall’ultimo fiammifero che hanno tenuto in mano.

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