venerdì 2 novembre 2018

Letture

In Italia ai tempi di Mussolini
(di Felice Celato)
Eccomi qua, riemergere da una lettura che mi ha preso molte ore e che mi preme segnalare per la ricchezza degli spunti di riflessione che offre, anche al lettore d’oggi. Si tratta (l’avevo già fugacemente segnalato quando ero solo all’inizio del corposo volume) del libro di un eminente storico Italiano ( di Emilio Gentile: In Italia ai tempi di Mussolini, Mondadori, 2018) che ha avuto l’ottima idea di accompagnare i suoi lettori (come recita il sottotitolo) in un Viaggio in compagnia di osservatori stranieri del tempo (di allora); in sostanza una storia politica e, inevitabilmente, sociologica dell’Italia del ventennio, vista attraverso gli occhi di coloro che, per passione o per professione, guardavano, appunto come osservatori stranieri, alle vicende Italiane fra le due guerre mondiali: dalle iniziali, diffuse simpatie per il movimento che aveva posto fine al caos Italiano del primo dopoguerra e alla minaccia bolscevica, alla preoccupata presa di coscienza  del biennio 1924-25 (a ridosso e nei tempi immediatamente successivi allomicidio Matteotti), al consolidamento del regime (non senza accenti di ammirazione dall’estero), all’apoteosi dell’impero; il tutto, tenuto assieme, secondo alcuni, da una antropologica inclinazione che faceva del fascismo un fenomeno italianissimo, addirittura in sostanziale accordo col carattere italiano, ovvero l’unica maniera italiana di vivere; almeno fino al tragico crollo del regime nelle vicende belliche, dopo la sciagurata alleanza col dittatore Tedescoquando l’Italia finì inesorabilmente sotto le ruote della storia.
Un’ottima idea, dicevo, perché spesse volte, chi guarda ad un paese da fuori beneficia di un punto di vista più distaccato, più disincantato e, quindi, più affidabile, rispetto a quello di chi si trova coinvolto nel flusso dei fatti ed è anche, magari per suoi limiti culturali, più propenso ad immaginare la presunta specificità del suo vissuto, pur nell’ambito di una tela che la storia, almeno nei tempi contemporanei, tesse senza troppi riguardi ai confini fisici. 
Beninteso, sarebbe sciocco mitizzare, per principio, l’opinione degli osservatori stranieri; ma mi pare anche vero che, alla fine, non è saggio nemmeno mitizzare presunte specificità nostrane che ci farebbero resistenti a qualsiasi comprensione ab extra o a qualsiasi assimilazione. Non a caso, ormai tutti i politologi contemporanei riescono a intravvedere con chiarezza i fili che connettono i vari movimenti nuovi che caratterizzano, secondo linee simili, gli ambienti politici americani ed europei. E anche il cittadino meno avvezzo agli orizzonti meta-valligiani viene quotidianamente bombardato di informazioni che dovrebbero scuotere anche il più ostinato cultore di utopie isolazioniste. In fondo viviamo – piaccia o non piaccia – in un ambiente largo tuttora fortemente interdipendente e, pur nel generalizzato allentamento della coesione occidentale che era nata col secondo dopoguerra, ancora (fortunatamente) viscoso agli sgretolamenti sovranisti dei giorni nostri.
D’altra parte, gli osservatori stranieri coi quali Emilio Gentile ci accompagna nel Viaggio, sono, quasi tutti, non occasionali commentatori di cose Italiane ma scrittori che hanno a lungo soggiornato nel nostro Paese all’epoca dei fatti oggetto del libro; anzi, molti di essi avevano anche sviluppato, nel tempo, una profonda affezione per il nostro Paese – magari anche per suggestioni culturali persino resistenti all’usura – che porta anche ad escludere l’operare di pregiudizi negativi. 
Dunque, come dicevo, il libro di Gentile si raccomanda, oltreché per la piacevolezza del racconto… di viaggio, anche per la ricchezza di spunti di comprensione di un periodo storico che, pur morto e sepolto (per fortuna), conserva tuttavia un coacervo di impliciti ammonimenti: quale che sia la nostra personale valutazione sui tempi che viviamo, l’oggi non può non contenere le impronte di una storia non lontana e così tipicamente italiana, non foss’altro per le connotazioni antropologiche di un popolo che – nel bene e nel male – è passato attraverso l’ubriacatura del fascismo conservando gran parte delle sue caratteristiche. Gli Americani, all’atto del loro sbarco in Sicilia, ne hanno fatto un mite ritratto destinato ad accompagnare la comprensione dell’Italia nei soldati che la dovevano risalire da vincitori; da questa Guida del soldato per l’Italia (ampiamente citata da Gentile) traggo alcune righe che mi paiono appropriate (e in fondo non disperate): quando si trovano a dover affrontare problemi più grossi, gli Italiani sono facilmente condotti all’entusiasmo di massa e all’obbedienza, sebbene spesso superficiali. Ma sono buoni giudici del carattere e sanno subito misurare il valore delle persone… Un’altra caratteristica [degli italiani] è l’eccitabilità….poi c’è la vanità dell’italiano che talvolta è difficile distinguere dall’orgoglio.
Naturalmente, il tutto, a quei tempi....
Roma  2 novembre 2018, (memoria dei nostri cari morti).


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