giovedì 8 novembre 2018

In margine ad una lettura

Stato o mercato
(di Felice Celato)
Queste poche righe prendono le mosse da un bell’articolo pubblicato da Aggiornamenti Sociali, per la penna del suo direttore, p Giacomo Costa SJ, intitolato Oltre Stato o mercato: alla radice del “pubblico”.
Che dice in sostanza A.S.? Meglio senz’altro leggere l’articolo (in A.S., Nov.2018); ma in estrema sintesi mi pare si possa dire che – secondo l’autore – occorre immaginare modalità di regolazione [della soddisfazione dei bisogni dei cittadini] che non passano [ solo] dall’autorità (Stato) o dal prezzo (mercato); e che occorre concedersi il lusso di pensare che accanto agli interessi privati….vi sia anche lo spazio per provare a costruire una qualche forma di progetto comune…dove quella modalità di regolazione è affidata all’autogoverno di azioni collettive che assicurano la piena partecipazione degli utenti ma anche delle imprese disponibili a prendere sul serio… la prospettiva della responsabilità sociale. [I lettori più attenti di questo blog ricorderanno il tema, in qualche modo affine, dei commons collaborativi di cui abbiamo parlato qui quattro anni fa, commentando un bellissimo libro di J Rifkin, La società a costo marginale 0 ].
Il testo di Costa è ampio e, come dicevo, merita di essere letto, anche per l’approccio ragionante e sistematico al tema. E dunque ne prendo solo lo spunto per tornare sul “pallino” politico con cui ho già tormentato i miei lettori: “restringere lo Stato!”; e per aggiungere una…postilla al “pallino”.
La mia ormai stagionata convinzione (da ultimo ne abbiamo parlato però solo pochi giorni fa)  è che uno Stato che sappia fare bene i suoi mestieri (difesa, giustizia, tutela dei più deboli, ambiente, ordine pubblico, istruzione, previdenza pubblica, tassazione, etc. e, in economia, tutela e controllo della libertà degli scambi e disciplina dei mercati) sarebbe già un ottimo Stato (di cui noi siamo tuttora ben lungi dal godere); assegnargli compiti più larghi è altamente pericoloso, soprattutto in un paese con scarsa cultura (tout court e dello Stato in particolare).  Del resto, per un po' di esperienza professionale, potrei fare un lungo elenco delle occasioni in cui quel pericolo (dello Stato che si infila sul mercato) è diventato danno e deformazione della cultura sociale (si pensi solo al caso Alitalia).
Allora che cosa suggerisce l’articolo da cui abbiamo preso le mosse? Beh, suggerisce una sottigliezza che sottigliezza non è: esiste la via del pubblico non statale; dove pubblico ha una connotazione non soggettiva (pubblico non vuol dire Stato) ma sociologica (dove pubblico significa rispondente a interessi collettivi, ivi chiamati “beni comuni”). E, pur da convinto…restrizionista, sono certamente disposto ad accettare questa apparente sottigliezza purché – nella mia prospettiva – questa non sia la porta surrettizia per riesumare, sotto mentite spoglie, uno Stato con ambizioni di onnipresenza; e purché la soddisfazione pubblica di interessi collettivi non significhi prerogative ingiuste a danno di chi sul mercato opera senza protezione (del resto, credo, nessuno si sognerebbe di immaginare, per esempio, speciali protezioni per la grande distribuzione esercitata in forma cooperativa invece che in forma prettamente privatistica).
Roma 8 novembre 2018

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