lunedì 12 novembre 2018

I “signori sul ponte” /3

Roma e Torino
(di Felice Celato)
Fra sabato e domenica a Roma e a Torino si sono svolti due eventi che – per loro natura – mi erano sembrati potenzialmente simili: a Torino la manifestazione pro-Tav, a Roma il referendum sulla liberalizzazione del trasporto pubblico urbano (per brevità, chiamiamolo rozzamente il referendum anti-Atac). Entrambi mi sembravano l’occasione per i "signori sul ponte" (cfr. i post I “signori sul ponte” del 28 e 29 ottobre u.s.) di farsi vedere, per dire qualcosa che affondasse le sue radici nella loro capacità di vedere dove si dirige la barca e di cogliere dunque qual è il vento al quale orientare le vele. Non a caso, commentando l’evento Torinese, Vladimiro Zagrebelsky scrive (su La stampa di oggi): certo, l’insieme dei 30.000 singoli che si sono radunati riflette probabilmente (un’indagine sarebbe utile) la comune, prevalente appartenenza a un ceto che si può dire di borghesia produttiva, non parassitaria; noi, qui, col nostro linguaggio da osservatori dilettanti e non dilettati (né dilettevoli, lo riconosco), avremmo detto  che l’insieme dei singoli che si sono radunati riflette probabilmente, la comune prevalente appartenenza ai ceti presso i quali è depositata la massima concentrazione di capitale umano (nel senso appunto detto nel secondo dei post di cui sopra). Ma la questione lessicale non importa affatto. Ciò che importa è che a Torino i “signori sul ponte”si sono fatti sentire.
A Roma invece…. 
[Qualche numero, prima: aventi diritto al voto referendario 2,4 milioni, percentuale votanti 16% cioè 390.000; dei 2,4 milioni, applicando le percentuali Eurostat 2016 su base nazionale di laureati (16%) e diplomati (43%) – le più basse in Europa, ma pur sempre rilevanti – possiamo supporre che oltre 1,4 milioni di elettori abbia maturato un grado di istruzione superiore e che quindi potenzialmente faccia parte della schiera dove si concentra massimamente il capitale umano della città; di questi 1,4 milioni supponiamo che – come da dati delle elezioni comunali 2016, primo turno – il 35%, pari a circa 500.000 elettori, militi convintamente nelle schiere dei difensori della politica comunale sull’Atac (conservare, mantenere, proteggere, semmai ristrutturare; sopire, troncare, troncare, sopire direbbe il Conte Zio di Manzoniana memoria). Dobbiamo quindi supporre che almeno il rimanente 65% (900.000 elettori) non si sia sentito vincolato da linee politiche da sé stesso approvate o volute. E’ facile che questi 900.000 elettori, non ostante il vergognoso comportamento della RAI che ha “oscurato” la consultazione, sia stato in grado di sapere che c’era un referendum e su che cosa ci si consultava (in fondo i pochi lettori di giornali di cui ci parla il Censis è facile che si concentrino in questa area sociologica dei detentori di importanti quote di capitale umano). ]
A Roma, invece - dicevo poc'anzi - mezzo milione di "signori sul ponte" (i 900.000  meno i quasi 400.000 che sono andati a votare) ha ritenuto di non voler dire la sua, ha fatto finta di non vedere dove si dirige la barca e di non capire quale sarebbe il vento propizio.
Concludo: (1) la cosa non mi sorprende: questi sono, questi siamo noi, "signori sul ponte" di una barca scassata che imbarca acqua da tutte le parti; (2) io prendo raramente i bus dell’Atac, qualche volta il tram, mai la metro. Non mi lamento del tram, ma sono andato a votare: conservo quindi il diritto (morale) alle eventuali lamentele; (3) fra Nord e Sud ci sono ancora rilevanti differenze di senso civico.
Roma  12 novembre 2018

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