martedì 25 settembre 2018

Upupe e ragionieri

Mr.Q
(di Felice Celato)
Ci sarebbe poco da scherzare, ma, per una volta, lo faccio lo stesso, come esercizio di forzato buonumore (perché non si dica che sono sempre cupo).
Dunque, partiamo dai sommi poeti. Ugo Foscolo, poeta triste ed inquieto, ha contribuito non poco a creare, dell’upupa, un’immagine lugubre: e uscir del teschio, ove fuggia la luna,/ l’upupa, e svolazzar su per le croci / sparse per la funerea campagna / e l’immonda accusar col luttuoso / singulto i rai di che son pie le stelle / delle obbliate sepolture…etc (Dei sepolcri, v. 81 e sg).
Ci volle la penna leggera eppure scabra di Eugenio Montale (in Ossi di seppia) per risarcire solennemente  l’upupa (gaio uccello dalle bellissime piume, certamente lontano dallo stereotipo funereo di Foscolo) dell’ingiusta fama costruitale attorno dal poeta dei Sepolcri (e da qualche suo illustre emulo): Upupa, ilare uccello calunniato/ dai poeti, che roti la tua cresta / sopra l’aereo stollo del pollaio / e come un finto gallo giri al vento; nunzio primaverile, upupa, come/ per te il tempo s’arresta…etc
Bene. Questa storica calunnia nata e dissipata dalla penna dei poeti, mi è tornata in mente in questi giorni leggendo delle furiose polemiche attorno ai “ragionieri”, intesi per tali quegli alti burocrati che, come fossero il piombo sulle ali leggere di una politica d’alte vedute, si affannano a tirare le somme di tanti fascinosi programmi di diffuso benessere finanziato dai soldi degli altri.
Non entro nel merito delle questioni che occupano tante pagine dei sepolcrali quotidiani di questi giorni (ove, per fare ancora il verso a Foscolo, l’uomo e le sue tombe / e le estreme sembianze e le reliquie / della terra e del ciel traveste il tempo). Piuttosto, avendo in tanti anni di lavoro incontrato tanti ragionieri, mi preme – come fece Montale con l’upupa – di “sciogliere un inno” alla loro negletta funzione, spesso tanto scomoda a chi ha in odio l’aritmetica.
Certo, di loro non si può dire che siano gli aligeri folletti di cui parla Montale (sempre a proposito delle upupe). Nel loro stereotipo c’è una certa grigezza di vedute e, spesso, di carattere; taluno dice grettezza di pignoli, o aridità pervicace (un mio amico molto colto, che particolarmente li soffriva, li definì una volta aritsmofagi, alludendo grecamente a chi si nutre solo di numeri). Per esempio, chi gioca a golf spesso accusa l’avversario prudente e misurato nei tiri (per evitare i rischi connessi al troppo osare o al troppo chiedere a sé stessi) di "giocare da ragioniere". Ma, appunto, di uno stereotipo spesso si tratta, dimentico, fra l’altro, della somma cultura umana e professionale di alcuni grandi maestri italiani della materia (ora chiamata, più modernamente, Economia d’azienda), da Gino Zappa, a Pietro Onida, fino a Pellegrino Capaldo. Se penso – come dicevo – ai ragionieri della mia vita professionale, non posso non andare con la memoria in particolare ad uno di essi (chiamiamolo Mr.Q, alla James Bond), forse grigio nell’aspetto (ma non nell’animo e nella mente), misuratissimo nel linguaggio e anche nei toni, ma sempre straordinariamente lucido nelle analisi e conscio dei limiti insiti nella sua materia: “fin qui posso arrivare - sembrava dire ogni volta Mr.Q – facendo,  bene,  le somme e le addizioni, allocando dove è giusto i rischi e le opportunità, senza nulla tacere di ciò che i numeri ( e la mia esperienza) mi dicono ed io sono tenuto a dirti; se tu puoi fare di più o diversamente, dimmelo ed io ti dirò semplicemente quanto fa”. Io credo che Mr.Q, vedendo e dicendo sempre quanto fa,abbia fatto assai più bene alla sua azienda di quanto potessero fare i mille fantasisti che la popolavano.
Certo che, se per “riabilitare” l’upupa c’è voluto un premio Nobel (Montale), per “riabilitare” i ragionieri ci vuole altro che il buon Mr.Q, del resto ormai da tempo in pensione (che Dio lo benedica!). Ma, in fondo, credo, nemmeno ne sentano il bisogno: il loro stile non comporta piume colorate, non amano essere “nunzi primaverili” e, “ilari”, poi, di solito non hanno proprio voglia di esserlo (specie quando c’è poco da ridere); e, soprattutto, non amano portare creste da muovere al vento né fingersi galli. Per fortuna nemmeno i loro denigratori (che, invece, spesso si sentono galli) hanno il peso di Ugo Foscolo!
Roma 25 settembre 2018

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