sabato 15 settembre 2018

Pensieri scuri

I segni tristi e la speranza
(di Felice Celato)
Fra i pochi oggetti di religiosa devozione che conservo, ce n’è uno cui sono particolarmente affezionato. Si tratta di una piccola statuetta di legno (credo d’ulivo) che raffigura il Cristo che porta la Croce sulle spalle, evidentemente nel cammino verso il Calvario. Me la regalò un amico, al suo ritorno da un viaggio in Terra Santa; voleva essere, in un periodo in cui mi sentivo soverchiato da gravosissime responsabilità professionali, una memoria delle piccole o grandi croci che siamo chiamati a portare nella vita, ad imitazione – per chi crede – della Croce del Suo supplizio gravata sulle spalle di Gesù. Anche per questo la tengo su una piccola libreria che sta di fronte al tavolo al quale mi applico quotidianamente, per guardarla più volte al giorno, ogni volta che mi siedo a leggere o a scrivere.
Il Cristo è raffigurato nel suo passo triste e la Croce (anch’essa di legno) è appoggiata sulle sue spalle, restando tuttavia mobile, sicché talora (magari in conseguenza di qualche domestica incombenza) scivola di lato, trattenuta dalle Sue mani ma non più appoggiata sulle Sue spalle. Quando lo noto, qualsiasi cosa stia facendo, mi alzo e la ripongo sulle spalle di Chi, unico, la porta come segno del Suo amore per l’uomo.
In questo tempo tanto buio per noi, raddrizzare la Croce sulle spalle di Cristo mi pare, oltreché un gesto devoto al quale non saprei rinunciare, un esercizio di speranza, la certezza di una spalla più forte delle nostre: senza il Suo aiuto il peso delle piccole (o grandi) croci che i tempi ci impongono mi sarebbe assai difficile da sopportare; la drammatica latens deitas della scena che la statuetta ritrae, il Gesù uomo soverchiato dal peso del suo destino prima della morte e della Pasqua di Resurrezione, mi conforta – oltreché per quanto di personale mi senta di affidare a Lui – per tutto il resto che, del mondo, mi affanna forse più del dovuto.
Dicevo, forse più del dovuto: in fondo, come mi ricorda ogni tanto qualche amico, il nostro mondo ne ha viste tante e in qualche modo ne è sempre uscito. Ma questa considerazione, che sembra storicamente inespugnabile, direi quasi saggia, è lungi dall’esserlo, almeno dal punto di vista umano: intanto la nostra vita è una frazione infinitesimale della storia e ci importa assai  più di quello che avviene in questo nostro spazio temporale che non di quanto è avvenuto nel passato e anche, molto spesso, di quanto potrà avvenire nel futuro; e poi, con siffatto modo di ragionare, per esempio, nel 1939 ci si sarebbe dovuti consolare dell’imminenza della guerra pensando che, vabbè, in fondo era successo anche 25 anni prima e il mondo, poi, è andato avanti lo stesso.
Il fatto è che dove volgo lo sguardo mi pare di scorgere i segni di uno sgretolamento che va al di là della mia volontà di scorgere un nuovo equilibrio, almeno all’interno di quei cerchi concentrici dove, da sempre, abbiamo piantato le nostre esistenze, le nostre convinzioni, i nostri valori: il paese fuori di sé  che, pure, vuole chiudersi in sé, abbaiando a tutti contro ogni suo interesse; l’Europa che fatica oltre ogni misura a conservare anche un briciolo del suo fascino, non ostanti gli anni di pace e di crescita che ha regalato ai suoi cittadini immemori; persino la Chiesa terrena mi pare talora rincorrere le sue greggi sui prati più accessibili piuttosto che guidarle sugli alpeggi più in alto.
Non voglio negare che, in questa mia vena triste (anche la mia penna si è appesantita, l’avranno notato i lettori più assidui), ci possa essere una componente esistenziale: è vero, gli anni cominciano a farsi sentire; ma, l’età, con la stanchezza fisica e la minore pazienza, spesso arreca – purtroppo – anche una visione più chiara della realtà. E infatti – malauguratamente – mi pare proprio di vedere chiaro dove possiamo finire. Certo, c’è l’Opzione Benedetto, di cui parla Rod Dreher nel libro che ha destato qualche attenzione mediatica in questi giorni e che sto leggendo (ne parleremo fra qualche giorno); ma confesso fin d’ora che – al di là del loro significato morale – le soluzioni fuori del tempo mi lasciano sempre dubbioso.
Per fortuna c’è la statuetta di fronte a me; e la Croce è ben salda sulle Sue spalle (Fac me Tibi semper magis credere, in Te spem habere, Te diligere, diceva san Tommaso). Lui la porta guardando avanti, sapendo, con certezza di Figlio, che il Padre perdona anche quelli che non sanno quello che fanno.
Roma, 15 settembre 2018

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