domenica 23 settembre 2018

Equinozio d'autunno

Scotofobie
(di Felice Celato)
Da oggi, anzi da stamane alle 3,54, la luce (il pennello di Dio, l’abbiamo chiamata in un post dell’11 giugno 2016) comincia a cedere al buio la sua quotidiana dominanza: il sole – dicono gli astronomi – è allo zenit dell’equatore, e da lì, comincia per un po' ad inclinare i suoi raggi, fino a riprendere la sua ascesa col solstizio di inverno, poco prima del Natale, quando l’eterno rincorrersi del tempo ritrascina la luce verso il dominio della giornata.
Come ogni anno – ma tanto più quest’anno – il passaggio della stagione (dell’anno o della vita?) mi rende un po' triste, forse per quella innata meteoropatia che, per me, si manifesta in un acuto desiderio della luce diurna, anzi, direi, in un’autentica paura del buio; per amore del giuoco con parole nuove (ed antiche), mi direi infatti affetto da scotofobia.
Certo, anche l’autunno, con le sue ombre, ha un suo innegabile, romantico fascino estetico; ma inevitabilmente finisce per richiamarmi alla mente la sua metafora esistenziale e culturale: noi uomini vediamo meglio quando il sole illumina noi e la realtà che ci circonda, quando le cose ci appaiono chiare, con l’evidenza dei loro contorni, con la chiarezza della loro natura, con le loro misure quando sono cose misurabili coi nostri pur poveri mezzi. L’ ombra – sia essa della realtà o dell’intelletto – ci pare sempre foriera di sfuggenti angoli del reale, come fosse portatrice di non misurabili minacce, di angosce per ciò che non riusciamo più a vedere nitidamente, vicino o lontano che sia, e che, perciò, abbiamo ragione di temere (El sueño de la razón produce monstruos, diceva per immagini Francisco Goya).
Non capita anche a voi, miei lettori ed amici, di temere l’ombra che avvolge la realtà e, spesso, le menti? Non vi succede – specie in questi rumorosi tempi confusi – di sentire un desiderio intenso di verità (cioè di luce) mentre scorrete le notizie del buio che avanza in ogni giornata e nei nostri pensieri?
A me succede, spesso; tanto più in questi anni in cui i sensi del giudizio sul reale sembrano aver virato verso il consenso come metro che misura il giusto, verso l’apparenza come realtà operabile, o addirittura verso il percepito come misura del vero; in altre parole verso il buio come ingannevole alternativa alla luce.
I malati di psicologia possono pure astenersi dal sottopormi ad indagine: la mia scotofobia non ha radici psichiatriche, credo; ma solo intellettuali e forse culturali. Anche se – lo ammetto – non amo chiudere gli occhi nel buio assoluto (c’è sempre una lucetta tenuissima nella mia camera), il buio che mi terrorizza è quello della ragione, che è anche, per conseguenza, cecità dell’azione.
A conclusione di questa mesta “celebrazione” dell’equinozio d’autunno – che via via, per strani percorsi del divagare, si è fatta un “inno” alla ragione (cioè alla luce) – mi piace ricordare una frase che credo di aver citato altre volte, estratta dal famoso discorso di Ratisbona del papa Benedetto XVI, grande ed insospettabile sostenitore delle “ragioni della ragione”: Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio.
Roma,  23 settembre 2018






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