mercoledì 13 settembre 2017

Letture

Due libri, due mondi
(di Felice Celato)
Per una coincidenza curiosa mi è capitato di avere in lettura, in questi giorni, due libri assai diversi fra loro ma unificati dal profilo personale degli autori: entrambi  (ciascuno a suo modo sicuramente illustre) sono reverendi Padri Gesuiti. Il primo libro: di Francesco Occhetta, Il lavoro promesso (Ancora, 2017, in ebook), dedicato, appunto, alle “nuove” frontiere del lavoro (libero, creativo, partecipativo e solidale, dice l’accattivante sottotitolo); il secondo: di Ugo Vanni: Accogliere lo Spirito (Paoline, 1998), dedicato a meditazioni bibliche sullo Spirito Santo (nel pensiero di Paolo e di Giovanni, dice il più austero sottotitolo).
Dico brevissimamente dei due libri, prima di svolgere una considerazione…sicuramente superata, antica, fuori moda, etc. Il libro di Occhetta, a parte qualche apertura su scenari che solo qualche anno fa sembravano futuribili, è una raccolta di considerazioni tutto sommato diffuse, argomentate con dati noti e condite con una visione dell’economia in gran parte scontata nella non sempre lucida cultura politica “cattolico-progressista”; peraltro il libro formula anche qualche intelligente proposta di portata laterale. Si legge anche senza annoiare e senza sorprendere, come sarebbe di un testo scritto da un bravo giornalista che si è documentato sulla materia.  Il libro avrà certamente un certo successo editoriale.
Quello di Vanni, invece, è un piccolo concentrato di teologia biblica e di spiritualità, che si gusta leggendolo a piccole e dense dosi, riandando spesso ai testi che il libro richiama e rischiara nelle loro connessioni. Non credo che sia stato un best-seller. Le “ricette” che propone sono tutte incentrate sull’ascolto; l’esito che promette è il silenzioso operare dello Spirito in noi, come inchiostro che rende visibili i tratti di Cristo.
Allora, perché li metti assieme – dirà qualcuno dei miei lettori più impazienti – se tu stesso non puoi non sentirli  tanto diversi fra loro – almeno ratione materiae da non  poter essere nemmeno accostati?
La verità è paradossale: perché, invece, giustapposti, letti in successione, i due libri mi paiono sintetizzare alla perfezione un mio disagio di cattolico che si scopre ogni  giorno più distopico, si sente (ma non se ne risente) fuori luogo; o fuori tempo, fors’anche un po’ buffo per i più caritatevoli.
In tempi in cui la Chiesa sembra riscoprire una (fortunatamente) desueta vena politica e si affanna a comunicare quotidianamente ricette politico-sociali di largo consenso, da distribuire – senza la responsabilità della loro efficacia – nelle più varie occasioni, ad uso di radicati anticlericali pronti all’applauso ammiccante; in questi tempi, qualche prete al quale piaccia ancora parlare appassionatamente di Dio e della Verità e che scelga di farlo su un tema così poco “popolare” come l’accoglienza dello Spirito, appare un alieno, un testone che si ostina a insegnare di coltivare le radici della propria fede nella Rivelazione; anzi, direi meglio, un capo sbandato da un gregge che tiene la testa bassa sull’erba del pascolo.
Non sono così isolato dalla vigile critica di amici da non rendermi conto di essere io, come dicevo sopra, un po’ fuori tempo. Qualcuno che volesse sconfortarmi ancora un po’ mi farebbe notare che, guarda caso, i due libri sono stati editi a una ventina d’anni di distanza; magari aggiungendo che, del resto, è ora di finirla con ‘sta Chiesa fissata con la Verità, perché tanto la Verità non interessa più  nessuno! Ci basta, tutt’al più, per essere socialmente empatici,  quello che chiamiamo carità ma che - disconnesso dalla Verità - abbiamo reso un guscio vuoto da riempire arbitrariamente, un  sentimentalismopreda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta fino a significare il contrario (CV, 3).
Che devo dire? Forse i miei amici più critici hanno ragione e vedono meglio di me il felice decorso del tempo, le sue “meravigliose” scoperte di senso, l’importanza di essere “popolari”, di piacere in qualche modo, per non restare isolati appassionati di una Verità che convince sempre meno teste. E del resto, lo ricorda proprio il padre Vanni, dobbiamo sempre aspettarci che lo Spirito faccia bellissime sorprese….e avere chiaro che la novità, la dinamicità, il cambiamento sono cosa normale in una vita personale ed ecclesiale.
Io però  continuo a sperare – in questa tanto picciola vigilia de’nostri sensi ch’ è del rimanente -  che fra le belle sorprese dello Spirito ci sia anche quella della riscoperta della bellezza della Verità; del gusto di proclamarla sulla base di un  testimone fedele, senza iattanza verso chi misteriosamente non l’abbia ricevuta, ma con la certezza di possedere – per Altrui merito – la sostanza di cose sperate e la prova di quelle che non si vedono.
Roma 13 settembre 2017


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