Due libri, due
mondi
(di Felice Celato)
Per
una coincidenza curiosa mi è capitato di avere in lettura, in questi giorni,
due libri assai diversi fra loro ma unificati dal profilo personale degli
autori: entrambi (ciascuno a suo modo sicuramente
illustre) sono reverendi Padri Gesuiti. Il primo libro: di Francesco Occhetta, Il lavoro promesso (Ancora, 2017, in ebook), dedicato, appunto, alle “nuove”
frontiere del lavoro (libero, creativo,
partecipativo e solidale, dice l’accattivante sottotitolo); il secondo: di
Ugo Vanni: Accogliere lo Spirito
(Paoline, 1998), dedicato a meditazioni bibliche sullo Spirito Santo (nel pensiero di Paolo e di Giovanni,
dice il più austero sottotitolo).
Dico
brevissimamente dei due libri, prima di svolgere una considerazione…sicuramente
superata, antica, fuori moda, etc. Il libro di Occhetta, a parte qualche
apertura su scenari che solo qualche anno fa sembravano futuribili, è una
raccolta di considerazioni tutto sommato diffuse, argomentate con dati noti e
condite con una visione dell’economia in gran parte scontata nella non sempre
lucida cultura politica “cattolico-progressista”; peraltro il libro formula
anche qualche intelligente proposta di portata laterale. Si legge anche senza
annoiare e senza sorprendere, come sarebbe di un testo scritto da un bravo
giornalista che si è documentato sulla materia.
Il libro avrà certamente un certo successo editoriale.
Quello
di Vanni, invece, è un piccolo concentrato di teologia biblica e di
spiritualità, che si gusta leggendolo a piccole e dense dosi, riandando spesso ai
testi che il libro richiama e rischiara nelle loro connessioni. Non credo che
sia stato un best-seller. Le
“ricette” che propone sono tutte incentrate sull’ascolto; l’esito che promette
è il silenzioso operare dello Spirito in noi, come inchiostro che rende visibili i tratti di Cristo.
Allora,
perché li metti assieme – dirà qualcuno dei miei lettori più impazienti – se tu
stesso non puoi non sentirli tanto
diversi fra loro – almeno ratione
materiae – da non poter essere nemmeno accostati?
La
verità è paradossale: perché, invece, giustapposti, letti in successione, i due
libri mi paiono sintetizzare alla perfezione un mio disagio di cattolico che si
scopre ogni giorno più distopico, si
sente (ma non se ne risente) fuori luogo; o fuori tempo, fors’anche un po’
buffo per i più caritatevoli.
In
tempi in cui la Chiesa sembra riscoprire una (fortunatamente) desueta vena
politica e si affanna a comunicare quotidianamente ricette politico-sociali di
largo consenso, da distribuire – senza la responsabilità della loro efficacia –
nelle più varie occasioni, ad uso di radicati anticlericali pronti all’applauso
ammiccante; in questi tempi, qualche prete al quale piaccia ancora parlare
appassionatamente di Dio e della Verità e che scelga di farlo su un tema così
poco “popolare” come l’accoglienza dello Spirito, appare un alieno, un testone
che si ostina a insegnare di coltivare le radici della propria fede nella
Rivelazione; anzi, direi meglio, un capo sbandato da un gregge che tiene la testa
bassa sull’erba del pascolo.
Non
sono così isolato dalla vigile critica di amici da non rendermi conto di essere
io, come dicevo sopra, un po’ fuori tempo. Qualcuno che volesse sconfortarmi
ancora un po’ mi farebbe notare che, guarda caso, i due libri sono stati editi
a una ventina d’anni di distanza; magari aggiungendo che, del resto, è ora di
finirla con ‘sta Chiesa fissata con la Verità, perché tanto la Verità non
interessa più nessuno! Ci basta, tutt’al
più, per essere socialmente empatici, quello che chiamiamo carità ma che - disconnesso dalla Verità - abbiamo reso un guscio vuoto da riempire arbitrariamente, un sentimentalismo…
preda delle emozioni e delle opinioni
contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta fino a significare il
contrario (CV, 3).
Che
devo dire? Forse i miei amici più critici hanno ragione e vedono meglio di me
il felice decorso del tempo, le sue “meravigliose” scoperte di senso,
l’importanza di essere “popolari”, di piacere in qualche modo, per non restare
isolati appassionati di una Verità che convince sempre meno teste. E del resto,
lo ricorda proprio il padre Vanni, dobbiamo sempre aspettarci che lo Spirito faccia bellissime sorprese….e avere
chiaro che la novità, la dinamicità, il
cambiamento sono cosa normale in una vita personale ed ecclesiale.
Io
però continuo a sperare – in questa tanto picciola vigilia
de’nostri sensi ch’ è del rimanente - che fra le belle
sorprese dello Spirito ci sia anche quella della riscoperta della bellezza
della Verità; del gusto di proclamarla sulla base di un testimone
fedele, senza iattanza verso chi misteriosamente non l’abbia ricevuta, ma
con la certezza di possedere – per Altrui merito – la sostanza di cose sperate e la prova di quelle che non si vedono.
Roma
13 settembre 2017
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