martedì 5 settembre 2017

Defendit numerus / 15

Noi e l’altro
(di Felice Celato)
Defendit numerus, il numero difende, diceva Giovenale; cioè, diremmo noi, il numero dà sicurezza, preserva dalle percezioni soggettive, toglie il respiro alle impressioni, aiuta a misurare le cose e le proporzioni fra le cose, ne classifica quindi l’importanza quantitativa prescindendo da quel che ci sembra, etc.etc..
Anche l’uso del numero, tuttavia, impone dei caveat (scusate l’abuso del latino, ma notate che non ho fatto come un mio giovane collega di qualche anno fa che mi trasmise una “List of main caveats”), delle istruzioni per l’uso, diremmo oggi: quelle benefiche funzioni, il numero, le esercita se è rilevato con scrupolo di “verità”, con metodo inteso all’esercizio appunto di tali funzioni, se misura le cose per meglio capirle (non per strattonare quantità a sostegno di questa o di quella tesi, come accade mensilmente in Italia fra mille strombazzi se la quantità strattonata ci piace); e inoltre l’uso del numero esige la chiara nozione della sua natura: un conto è, per fare esempi italiani, il numero che esprime il debito pubblico, un conto il numero che esprime le intenzioni di voto o anche i sondaggi sul gradimento di questa o di quell’altra cosa: il primo misura, il secondo stima, talora sulla base di questionari (quand’anche studiati e distribuiti con scrupolo professionale).
Bene. Questa premessa serve solo per dire che l’annuale rapporto del Giving Index (l’edizione 2017 della rilevazione Gallup per conto della CAF, Charities Aid Foundation, che “misura”(meglio: stima) la generosità dei vari Paesi del mondo, per l’esattezza 135 su circa 200), va preso con le cautele del caso; oltre a quanto detto in premessa, ne abbiamo del resto già parlato anche un anno fa nel post del 3 ottobre 2016 intitolato Offendit numerus? riferito all’edizione 2016 del rapporto. In sintesi cinese: guardare la Luna e non il dito che la indica!
Ma, al netto di tutto ciò, mi pare di capire che fra il 2016 e il 2017 come Italiani non siamo diventati più buoni; anzi, eravamo al 72° posto ora siamo all’ 84°!
Bravo! Diranno i miei graditissimi contestatori: e la crisi economica dove la metti?[Da noi ci sta sempre bene un piagnisteo sulla crisi, quasi come se proprio non ne avessimo alcuna responsabilità!] E poi, senti, che gli Italiani siano buoni, lo sanno tutti! La nostra bontà è, notoriamente, una delle cose che tutto il mondo ci invidia! Perbacco! Ora vuoi mettere in dubbio anche questa?
Rispondo: prima di tutto mi pareva di capire che, dai numeri strattonati coi quali ci impastoiano il pensiero (rectius: vorrebbero impastoiarci il pensiero) i nostri politici, la crisi era alle nostre spalle. E poi, l’avevamo detto anno scorso, qui il benessere non c’entra tanto: non a caso Myanmar (paese con un PIL pro-capite sicuramente inferiore al 10% del nostro) resta il paese più generoso al mondo (perché la ricerca misura non quanto hai dato ma quante volte hai donato, quante volte hai aiutato uno straniero o uno sconosciuto, quante volte hai offerto tuo tempo a supporto di un’organizzazione rivolta agli altri) e davanti a noi ci sono, per esempio, il Ghana, la Nigeria, il Senegal, l’Equador ed il Nepal, oltre che la Francia, la Spagna, la kattifa Germania, il Belgio, l’Olanda, la Danimarca, il Regno Unito, etc.
Se fossi fissato (come molti di voi sospettano) con la storia del nostro degrado antropologico, troverei supporto – nel rapporto CAF – anche dal nostro peggioramento di ranking, da un anno all’altro. Ma invece, lo sapete, sono un tenace ottimista soprattutto su di noi e, quindi, penso che, se non siamo più buoni dei nostri vicini, siamo sicuramente…. più intelligenti e più belli di loro. Lo so, lo percepisco.
Roma 5 settembre 2017


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