Noi e
l’altro
(di Felice Celato)
Defendit numerus, il numero difende, diceva Giovenale; cioè, diremmo noi, il
numero dà sicurezza, preserva dalle percezioni soggettive, toglie il respiro
alle impressioni, aiuta a misurare le cose e le proporzioni fra le cose, ne classifica
quindi l’importanza quantitativa prescindendo da quel che ci sembra, etc.etc..
Anche l’uso del numero, tuttavia, impone dei caveat (scusate l’abuso del latino, ma notate che non ho fatto come
un mio giovane collega di qualche anno fa che mi trasmise una “List of main caveats”), delle istruzioni
per l’uso, diremmo oggi: quelle benefiche funzioni, il numero, le esercita se è
rilevato con scrupolo di “verità”, con metodo inteso all’esercizio appunto di
tali funzioni, se misura le cose per meglio capirle (non per strattonare
quantità a sostegno di questa o di quella tesi, come accade mensilmente in Italia
fra mille strombazzi se la quantità strattonata ci piace); e inoltre l’uso del
numero esige la chiara nozione della sua natura: un conto è, per fare esempi
italiani, il numero che esprime il debito pubblico, un conto il numero che
esprime le intenzioni di voto o anche i sondaggi sul gradimento di questa o di
quell’altra cosa: il primo misura, il secondo stima, talora sulla base di questionari
(quand’anche studiati e distribuiti con scrupolo professionale).
Bene. Questa premessa serve solo per dire che l’annuale rapporto
del Giving Index (l’edizione 2017
della rilevazione Gallup per conto
della CAF, Charities Aid Foundation,
che “misura”(meglio: stima) la generosità dei vari Paesi del mondo, per l’esattezza 135 su
circa 200), va preso con le cautele del caso; oltre a quanto detto in premessa,
ne abbiamo del resto già parlato anche un anno fa nel post del 3 ottobre 2016 intitolato Offendit numerus? riferito all’edizione 2016 del rapporto. In
sintesi cinese: guardare la Luna e non il dito che la indica!
Ma, al netto di tutto ciò, mi pare di capire che fra il 2016 e il
2017 come Italiani non siamo diventati più buoni; anzi, eravamo al 72° posto
ora siamo all’ 84°!
Bravo! Diranno i miei graditissimi contestatori: e la crisi
economica dove la metti?[Da noi ci sta sempre bene un piagnisteo sulla crisi,
quasi come se proprio non ne avessimo alcuna responsabilità!] E poi, senti, che
gli Italiani siano buoni, lo sanno tutti! La nostra bontà è, notoriamente, una
delle cose che tutto il mondo ci invidia!
Perbacco! Ora vuoi mettere in dubbio anche questa?
Rispondo: prima di tutto mi pareva di capire che, dai numeri strattonati coi quali ci
impastoiano il pensiero (rectius:
vorrebbero impastoiarci il pensiero) i nostri politici, la crisi era alle
nostre spalle. E poi, l’avevamo detto anno scorso, qui il benessere non c’entra
tanto: non a caso Myanmar (paese con un PIL pro-capite
sicuramente inferiore al 10% del nostro) resta il paese più generoso al
mondo (perché la ricerca misura non quanto hai dato ma quante volte
hai donato, quante volte hai aiutato uno straniero o uno sconosciuto,
quante volte hai offerto tuo tempo a supporto di un’organizzazione
rivolta agli altri) e davanti a noi ci sono, per esempio, il Ghana, la Nigeria,
il Senegal, l’Equador ed il Nepal, oltre che la Francia, la Spagna, la kattifa Germania, il Belgio, l’Olanda,
la Danimarca, il Regno Unito, etc.
Se fossi fissato (come molti di voi sospettano) con
la storia del nostro degrado antropologico, troverei supporto – nel rapporto
CAF – anche dal nostro peggioramento di ranking,
da un anno all’altro. Ma invece, lo sapete, sono un tenace ottimista
soprattutto su di noi e, quindi, penso che, se non siamo più buoni dei nostri
vicini, siamo sicuramente…. più intelligenti e più belli di loro. Lo so, lo
percepisco.
Roma 5 settembre 2017
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