sabato 23 settembre 2017

Defendit numerus / 16

La povertà assoluta
(di Felice Celato)
Da noi i dati spesse volte sono molti: se si sa cercare nel sito dell’Istat, per esempio, se ne reperiscono assai più di quanti ne servano all’ osservatore non specialista  che, però, semplicemente e doverosamente, senta il bisogno di pesi e proporzioni nel soppesare la realtà che ha dattorno. Se poi si aggiungono i dati messi insieme, con pari scrupolo, dalla Banca d’Italia, le collezioni delle ricerche Censis o Eurispes, gli studi tematici ad hoc di questo o quell’Istituto di ricerca, non si può negare che di dati nel nostro paese ne circolino tanti (e spesso di ottima qualità). Si potrà dire che talora, per eccesso di specialismo, non siano chiari o, per lo meno, non chiaramente esposti; che si prestino ad essere capiti male perché, spesso, diffusi da giornalisti disattenti o cialtroni (non sono rare, anche su giornali “autorevoli”, le confusioni fra milioni e miliardi!); o che (ed è cronaca quotidiana), mal esposti e peggio capiti, vengano “strapazzati” per sostenere questa o quell’altra tesi, di solito con orizzonte temporale inadeguato alla natura del problema al quale i dati vengono asserviti. Si potrà dire o pensare tutto ciò, ma, vi assicuro da appassionato di numeri, dati seri in Italia ce ne sono in abbondanza, solo che si ami pensare e parlare sulla base di essi.
Dunque, superata la difficoltà di sceverare fra dati statistici (fonte Istat) sulla povertà “assoluta” e “relativa” (si tratta di due misure distinte, effettuate con diverse metodologie), mi sono soffermato sui dati della “povertà assoluta”, intesa per tale il cluster statistico caratterizzato dall’incapacità reddituale – per fasce di maggiore o minore ampiezza dell’aggregato familiare – di fronteggiare i fabbisogni essenziali sintetizzati in un apposito “paniere” fatto di minimali esigenze per alimentazione, alloggio e per quant’altro indispensabile per evitare gravi forme di esclusione sociale; per intenderci: stiamo parlando di un reddito mensile individuale di circa 600 €.
[Il perché di questa curiosità statistica, i lettori fissi di questo blog l’avranno già capito: immagino che all’interno di tale fascia di povertà assoluta si collochino quegli italiani (o assimilabili) che alimentano, direi grossolanamente e con riserva di future indagini al riguardo, per circa un terzo la pletora di mendicanti che si schierano lungo le nostre strade cittadine; gli altri due terzi – sempre secondo la mia stima molto grossolana – avendo, invece origine nell’altro irrisolto problema dell’integrazione di rifugiati, politici o economici, che da qualche anno ci segnalano tutti i giorni che non siamo soli nel nostro “giardino”]
Bene. Eccomi allora a sintetizzare in quattro numeri ordinati (e arrotondati) le dimensioni del “problema”; quattro numeri perché ho la sensazione che ai più sfugga l’entità assoluta e relativa del fenomeno. Gli aggregati statistici sono, comprensibilmente, concepiti dall’Istat in una duplice chiave: quella familiare e quella del corrispondente numero di individui.

Famiglie e individui che vivono sotto la soglia di “povertà assoluta”(dati in milioni di unità o in percentuale)


ANNO 2016 (*)
Tot. Italia
Sotto soglia
     In %
Famiglie
25,7
1.6
6,3 %
Individui
60,0
4.7
7,9%

(*) Fonte: ns elaborazioni sul Report dell’Istat “La povertà in Italia, anno 2016”

In parole…povere: come se tutti gli abitanti di Roma, Napoli e Torino, messi assieme, fossero sotto la soglia di povertà assoluta; una famiglia ogni 15 famiglie; come al solito, più al Sud e meno nel Centro-Nord. L’incidenza (sempre dati Istat) è cresciuta negli ultimi tre anni (dal 5,7% del 2014 all’attuale 6,3% delle famiglie).
Il recente “varo” (come al solito per ora “vocale”) del c.d. reddito di inclusione (ReI), secondo studi dell’Alleanza contro la povertà, copre solo il 38% degli individui in stato di povertà assoluta.
Buona domenica.
Roma 23 settembre 2017





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