lunedì 18 settembre 2017

Come stiamo andando?

Aggiornamento
(di Felice Celato)
E’ più di un anno che non ci soffermiamo a fare il punto su come stiamo andando. Dunque, forse vale la pena di tentare di farlo, anche perché si appressa la fine dell’anno con le tradizionali “manovre” di bilancio, anche stavolta “con al centro i giovani” o “la ripresa”, o con altre consimili centralità vocali. Di qui alla  fine dell’anno c’è poi un altro passaggio (sottovalutato, spero saggiamente, dagli osservatori politici specializzati) per me (invece) lacerante: i due referendum consultivi, fiscalmente anti solidaristi, del nord Italia (di quella parte del paese, cioè, che, secondo la retorica renziana, ha una crescita superiore a quello del Baden Wurttemberg, per merito del Governo ovviamente). Poi ci saranno le elezioni (primavera 2018) per le quali sono in corso le grandi manovre dei piccoli leaders di cui disponiamo, fra le beffe di Prodi e di Letta, D’Alema che si leva gli occhiali per lanciare una rissa tardo-adolescenziale con chi lo critica, la gesticolazione dei messaggi, le formazioni miste e variabili, ricche di interrogativi di vitale importanza, la cui soluzione è attesa con ansia da tutto il mondo: con chi va Pisapia? Renzi o Gentiloni per il residuo PD? E Salvini va davvero con Berlusconi? E Berlusconi è candidabile? E la Meloni che fa? E Di Maio – che forse meglio di chiunque altro ben rappresenta l’Italia com’ è – Di Maio, dicevo, diventa candidato Premier? Ma col proporzionale ha senso candidare un Premier? Ma poi, a proposito: con che legge elettorale si vota?
Poi c’è la Consip: chi complotta contro chi? Quale parte dello Stato contro quale parte dello Stato?
Queste sono le cose che ci occupano.
Per fortuna, nel frattempo, abbiamo bloccato i migranti sul bagnasciuga della Libia e tutta l’Europa ci ha lodato; e noi, enormemente compiaciuti, ci siamo rifatti il fiocco sul grembiule con una certa fierezza. Dello jus soli non si parla più, perché è divisivo; e poi c’è la legge Fiano (della quale parliamo magari un’altra volta) che invece è inclusiva.
Intanto c’è un nuovo record: quello del debito pubblico (2.300 miliardi di € che ai costi attuali vale – sempreché la BCE continui ad acquistare titoli del debito pubblico Italiano – "solo" una settantina di miliardi all’anno, pari a circa l’ 8 % della spesa pubblica Italiana, che – ricordiamolo – è più della metà del PIL)!
Ma lasciamo perdere, nessuno ne parla perché “i conti sono in ordine”; sennò, del resto, come potremmo anche solo pensare di ingrossare ancora di più le file della burocrazia assumendo i giovani talenti che tutto il mondo ci invidia in sostituzione di una pletora di statali anziani, da pensionare o, magari, da prepensionare?
Lasciamo perdere, dicevo, magari molto perplessi ma lasciamo perdere, perché c’è un filone mediatico al quale vale la pena di dare attenzione: i tre  giornali italiani che leggo con continuità (il Foglio con grande piacere intellettuale, il Corriere spesso con interesse e talora con rabbia, Il Sole per annoiato senso del dovere) si stanno orientando (devo dire: con alterne e discutibili fortune) verso una campagna a favore, per così dire, di una lettura ottimistica della situazione (e conseguentemente dei destini) dell’Italia. Il tempo dirà se questi sforzi hanno un senso. Il Corriere addirittura sta per lanciare un (ennesimo) supplemento settimanale dedicato, stavolta, alle Buone notizie.
E io, lo sanno bene i miei lettori, se c’è da tuffarsi in visioni ottimistiche sull’Italia non voglio essere scavalcato da nessuno. Ma c’è qualcosa del lancio del nuovo supplemento che fa oggi Ferruccio De Bortoli sul Corriere stesso, che mi ha positivamente colpito (fuori di ogni sarcasmo, stavolta): il ruolo che si comincia ad attribuire al volontariato in Italia. Forse, come dicevamo l’altro girono commentando il Giving index (cfr. post Defendit numerus /15 del 5 settembre), anche qui – come in tutte le altre cose – non è proprio il caso di rivendicare primazie che non abbiamo certo, abbandonandoci ad infondate autoglorificazioni del quanto siamo buoni; ma non c’è dubbio – a mio avviso – che promuovere la coscienza di quanto sia supportiva questa società parallela, tanto più quanto più riesce a stare distante dallo Stato, diffonde fiducia, rinforza i legami sociali, combatte i pregiudizi e vince le indifferenze (De Bortoli); e, forse, soprattutto se riesce a evitare mielosità e buonismi convenzionali, contribuisce a generare il senso nascente di un welfare privato che potrebbe essere la chiave sociologica di una cultura post-statolatrica.
Vedremo; seguiremo con grande interesse e speranza. E se son rose….(avranno spine e pungeranno, diceva, ahimè, un mio amico meno ottimista di me).

Roma 18 settembre 2017

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