La pubblica emozione
(di
Felice Celato)
Difficile
riprendere il corso delle ruminazioni sulle quali ci siamo intrattenuti giorni
fa (il vitello d’oro della pubblica opinione); ma, in qualche modo, il tragico
corso degli eventi di questi giorni, con la sua scia di racconti e di commenti,
ci riporta inesorabilmente e naturalmente verso le modalità della sua
comunicazione (e verso le implicazioni di queste); complice, ovviamente,
qualche inevitabile soggiorno davanti alla TV per tempi…. largamente eccedenti
quelli strettamente necessari alla identificazione dell’evento.
Forse,
ruminavo fra me (dal Devoto-Oli: ruminare
= in senso figurato, pensare e ripensare insistentemente,
rimuginare), forse – dicevo – possiamo fare un passo avanti nella percezione
del nostro degrado (culturale…etc. etc.). Forse si impone proprio di abbandonare
il concetto di pubblica opinione, il
vitello d’oro (dicevamo l’altro giorno) fuso col metallo dei nostri piccoli “monili”
e trasformato nell’adorato moloch che
esige quotidiani sacrifici di intelligenza e di libertà di pensiero; perché, in
effetti, qualche residuo rispetto lo dobbiamo al concetto stesso di opinione
che, inesorabilmente, rimanda ad un’attività di tipo intellettuale, cognitivo e
valutativo, per quanto, ovviamente, personale (dal Devoto-Oli: opinione = l’interpretazione di un fatto o la formulazione di un giudizio in
corrispondenza di un criterio soggettivo e personale; convinzione in materia
morale, politica, sociale, religiosa). Si potrebbe addirittura rilevare che
il concetto di pubblica opinione ha
in sé un qualche cosa di ossimorico, visto che l’opinione ha appunto, di per sé, caratteristiche individuali e
soggettive che mal si conciliano con l’aggettivo pubblica; non a caso, forse, sempre il Devoto-Oli, definendo il
concetto di pubblica opinione,
avverte che l’atteggiamento collettivo
della maggioranza dei cittadini esprime esigenze
e convinzioni (talvolta pregiudizi) comuni. Ma lasciamo da parte le
questioni lessicali e veniamo alla sostanza (lo dico una volta per tutte: alla
sostanza da me ritenuta tale).
Dunque,
secondo me, vista la materia della quale si alimenta la cosiddetta pubblica opinione (cronache giornalistiche,
eruzioni social-mediatiche, slogan politichesi, banalizzanti semplificazioni etc)
e viste anche le reazioni “nell’organismo umano” che tale regime alimentare
genera, sembra più conveniente utilizzare il concetto di pubblica emozione. Questo è il moloch,
il vitello d’oro che i politici temono di sfidare (cfr. Ruminazioni del 6 agosto), il vero padrone – per nostra concessione
– delle vite e dei sentire della nostra collettività! La pubblica emozione!
Di
opinioni, infatti, non se ne trovano più, nemmeno sui così detti giornali di
opinione; a parte - ovviamente - qualche nobile linea editoriale a diffusione un po' elitaria e qualche inascoltato – anzi spesso denigrato – grido di tanto
in tanto lanciato anche su giornali "importanti" da qualche non rassegnato opinionista, magari affondato fra
migliaia di righe emozionistico-incendiarie. [Su il Foglio di qualche giorno fa, quando si parlava di incendi che si
presumevano appiccati da pompieri precari, una lettera di una sola riga al
Direttore – purtroppo ne ho scordato il mittente – lanciava questa geniale
provocazione: incendiari per lucro:
giornalisti?]. Invece di emozioni
sono piene la stampa, la televisione e le radio; e – inevitabilmente - i social media dove spesso anche le
emozioni degradano in borborigmi.
Perché?
Perché le emozioni hanno spiazzato le opinioni? Mah! Forse qualche amico farà
dell’ironia sulla mia “spiegazione” mercatistica: perché le emozioni costano
poco e rendono molto, riempiono pagine, spazi mediatici, etc., non richiedono
la fatica del pensare, affascinano facilmente, si comunicano senza difficoltà (spesso basta un'immagine),
non temono la prova dei fatti (il fact
checking, come direbbe qualcuno che ha frequentato qualche banca d’affari)
perché si radicano nel comune sentire che presume sempre di essere dalla parte della vera verità.
Le
opinioni, invece, costano molto (in termini di fatica dell’elaborazione),
rendono poco (in termini di popolarità), espongono alla prova contraria,
presumono l’attenzione faticosa di chi le riceve e spesso (assai spesso)
sono sgradevoli.
Diciamolo
francamente: non c’è competizione fra emozioni e opinioni! La battaglia della
testa è persa in partenza quando, in pubblico campo, scende il core o, meglio, il precordio.
Si
dirà: ma è sempre stato così, da che mondo è mondo! E forse è vero. Ma oggi, di
nuovo, di sconosciuto al passato, ci
sono due pericolosi moltiplicatori
dello spiazzamento emozionale : la
straordinaria pervasività della comunicazione e, soprattutto, la sua influenza
sulla formazione della cosiddetta volontà democratica. Per questo la questione della pubblica emozione è diventata cruciale per il futuro delle nostre
società; per questo, quant’altro mai, si impongono oggi le cure assidue della prevenzione.
Senza pretesa di esaurire qui il protocollo profilattico e terapeutico del caso, mi vengono in mente i due presìdi principe: diffidenza sistematica verso…. il
pre-cotto e cultura del ragionamento.
[ Sono certo che non mancherà occasione di tornarci sopra con
ulteriori…ruminazioni]
Orbetello
20 agosto 2017
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