Gerusalemme assediata e altro
( di Felice Celato)
Riprendiamo
la buona abitudine di segnalarci qualche lettura che ci abbia colpito o che ci
abbia semplicemente fatto buona compagnia. Del resto, tornati in città, non ci
resta che riprendere la routine più o
meno assillante del nostro tempo quotidiano. Attorno a noi il mondo sembra
girare come al solito, come siamo avvezzi a vederlo da qualche tempo: fra
pazzie collettive magari democraticamente supportate, denegate guerre di
religione asimmetriche, sfide emotive ed insensate, movimenti di masse
instabili alla ricerca di un nuovo equilibrio; se non fosse per le economie in
movimento diseguale e pervasivo, si direbbe che il mondo non cambi e che, non
cambiando, acceleri la sua entropia
perché cambia la sua densità e si accorcia il suo tempo. Non parliamo poi del
nostro povero Paese! I problemi di sempre, le elusioni e le illusioni di sempre,
talora condite da gesticolanti “realismi” di corta deriva, le fughe dal reale
mentre il reale ci insegue, il perdurante degrado culturale e antropologico, l’ecolalia endemica, i complessi
irrisolti: pur di udire qualcosa,
dicevamo all’inizio del mese (cfr. Le
cicale logo-claste del 4 agosto u.s.), sembra diventato la sostanza del nostro massimo desiderio, mentre crescono
silenziosamente (sia pure in mezzo a subitanee eruzioni prontamente esorcizzate
dai “tranquillanti” cicalecci di sempre) i problemi di domani, inutilmente
leggibili anche oggi.
E
dunque è stato consolante immergere l’estiva attenzione accaldata nel “fresco”
delle visioni lunghe, delle grandi sintesi storiche che ci danno il brivido del tempo e anche il senso di vicende passate che aiutano a porre le angosce del
presente nella prospettiva dei secoli. L’ho fatto, quest’anno, con un corposo
volume di quasi 400 dense pagine dedicato dall’archeologo americano Eric H.
Clive alla storia tri-millenaria di Gerusalemme (il titolo: Gerusalemme assediata - Dall’antica Canaan
allo Stato d’Israele, editore Bollati Boringhieri, 2017).
Come
dice il titolo, si tratta di un’opera che copre l’intera storia di Gerusalemme,
dalla sua fondazione (prima del 1000 a.C.) fino ai dì nostri, scritta molto
bene, con grande chiarezza ed anche efficacia “narrativa”, soprattutto quando
riferita alle storie più lontane che, almeno a me, erano larghissimamente
sconosciute. Qualche dubbio (rectius:
più di qualche dubbio) me l’hanno, per la verità, suscitato alcune letture del passato più recente, naturalmente più intrise di emozioni e, quindi, sia
pur sinteticamente, inclinate verso giudizi che mi sono parsi a dir poco
gracili. Ma nel complesso questo bel libro ha finito per lasciarmi soddisfatto
delle ore dedicate alla sua lettura: credo non esista altro luogo nel mondo
così eternamente e ferocemente conteso come Gerusalemme; il solo elenco degli
assedi, delle conquiste, delle riconquiste, delle successioni nel controllo della città prenderebbe alcune
pagine. Ma quello che dal punto di vista storico potrebbe apparire una
follia (in fondo quella di Sion è una collina come ce ne sono tante
dappertutto), dal punto di vista umano diventa il segno - starei per dire: confortante - del senso
che possono avere i simboli che Gerusalemme racchiude in sé, per l’umanità e
per le radici dell'uomo.
Una lettura assai più lieve è il romanzo di Elisabetta Fiorito Carciofi alla giudìa (Mondadori, 2017), ambientato nel mondo dell’ebraismo romano contemporaneo, del quale fornisce un
ritratto ironico e leggero attraverso le vicende di una "cristiana" vagamente agnostica che
si accasa con un ebreo timidamente praticante, fra i tic culturali dei due protagonisti e dei rispettivi ambienti e
qualche residua garbata diffidenza. Un libro gradevole ed intelligente (nel
senso etimologico) che si lascia leggere con gusto.
Roma 26 agosto 2017
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