L’agosto
comincia a calare, l’estate volge al suo declino naturale, anche quest’anno
portando con sé il suo sciame di morti. Anche quest’anno, da Barcellona, come
già nel luglio del 2016 da Nizza, i nostri tristi pensieri volgono ancora a
quella drammatica svolta della storia della nostra vita che fu l’11 settembre
2001: strumenti di vita (stavolta un banale furgone) trasformati in strumenti
di morte collettiva, stavolta nel bel mezzo del “rito” vacanziero del nostro
Occidente.
Le
descrizioni tragiche, le emozioni degli scampati, gli automatici proclami di
fiera resistenza dei nostri stili di vita, le “ricostruzioni” delle vite dei
macellai, le “analisi” un po’ logore, le parole di sempre: anche questo rischia
di diventare una sequenza ricorrente, un triste contrappunto della tragedia.
Parole nuove non mi vengono, parole nuove non sento dattorno; provo con qualche
parola vecchia di anni (da Uomo del mio
tempo, di Salvatore Quasimodo):
Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo….
Hai ucciso ancora…….
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello
- Andiamo nei campi –. E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
E altre, brevissime, che non sono né nuove né vecchie, per i
morti senza senso: Requiem aeternam dona
eis, Domine, et lux perpetua luceat eis.
Requiescant in pace.
Orbetello,
19 agosto 2017
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