domenica 27 agosto 2017

In parole lunghe

Riprendiamoci
(di Felice Celato)
[Avviso ai “naviganti”:  temo che mi dilungherò oltre il “limite”– 750 parole – che mi sono dato per questi miei post. Allora dò un consiglio pratico ai lettori: la seconda parte del post è riservata solo ai non laici. I laici possono fermarsi alla prima, se vogliono].
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Con la ripresa delle abitudini (sia di quelle buone – di cui darò subito un esempio, spero, con questa discussione asincrona –  sia di quelle inevitabilmente cattive, magari…. solo rilevate dalla bilancia) si avvia a riprendere anche il filo dei discorsi mai interrotti; anzi, fortunatamente, vivacizzati dalle esperienze, dalle letture e dalle riflessioni dell’estate. Fra questi fili, quello che più regge alle usure del tempo è il filo….della “discordia” sui ruoli dello stato e dell’economia nel mondo che auspichiamo (purtroppo sempre più lontano da quello che le pessime classi dirigenti politiche di cui disponiamo riescono a immaginare). Curioso: non è sul mondo che auspichiamo che si dipana il filo della “discordia”; tutti – mi riferisco qui al piccolo ma significativo contesto dei miei “corrispondenti” (in senso Ungarettiano) – vogliamo un mondo più "prospero", più “buono”, cioè più attento ai deboli, anche nella diffusione della prosperità; più “giusto” nella distribuzione delle opportunità; più “sano” nella qualità dei valori coltivati; più “facile” per chi ci vive; più “aperto” agli altri, comunque intesi. Curioso, dicevo, ma non troppo: sui “fini” è spesso assai più facile trovarsi d’accordo che non sui “mezzi”; specie quando – come avviene coi  miei “corrispondenti” – già si condividono culture, visioni del mondo e dell’uomo, nonché stili di vita. I problemi cominciano, anche fra noi, quando si passa a discutere dei “mezzi”; anzi – voglio fare un passo avanti – quando si passa a discutere della miscela di “mezzi” idonei al perseguimento di quei “fini”, giacché sulla natura dei “mezzi” in sé non c’è discussione: ogni società che si rispetti (per me come – credo – per i miei “corrispondenti”) si basa sulla armonica coesistenza di libertà individuali e collettive, da un lato,  e, dall’altro, di coercizione normativa; dove quest’ultima rappresenta, in estrema sintesi, la volontà dello Stato intesa a garantire l’ordinato funzionamento della collettività nell’interesse di tutti.
Bene; nella mia visione – che ovviamente descriverò con passione non imparziale – questa “miscela” è tanto più efficace, tanto più benefica per tutti e per ciascuno, quanto più ristretta è l’area della coercizione normativa. E anche su questo principio credo non sia difficile avere ampie convergenze, a livello….filosofico; quando si passa al livello economico, invece, le cose si complicano enormemente. Il fatto è che io credo – come ben sanno i lettori di questo blog ai quali ho via via segnalato tante letture liberali ed offerto diverse spigolature di nostrana “statolatria”– che più piccolo si fa lo Stato, più grandi si fanno – nel medio e nel lungo termine – la prosperità, la sua diffusione e la (terrena) felicità degli uomini (che non può voler dire – purtroppo –  l’eliminazione dell’infelicità). Lo Stato – nella mia visione (che non è solo mia, beninteso) – assicuri la difesa della comunità e la sua rappresentanza internazionale (possibilmente con dignità e senza isterie), assicuri (meglio di come fa da noi) l’amministrazione della giustizia, fissi ( e faccia rispettare con tempestività, equilibrio e certezza del diritto)  le regole del gioco economico per garantire la libertà dei mercati e la correttezza delle transazioni che vi si svolgono (avendo presente però che troppe regole distruggono i meccanismi), protegga i più deboli, ove possibile anche con norme che incentivino ed aiutino concretamente chi si occupa privatamente di tale protezione, faccia pagare tasse adeguate a queste sue più ristrette funzioni, e….; e, infine, basta. Per il resto lasci lavorare l’economia e i suoi spiriti vitali perché, ”senza una sana economia, non potremo avere una società sana; ma non è lo stato che rende sana l’economia. Quando lo stato cresce troppo, le persone migliori sentono di contare sempre di meno. Lo stato drena la società, non solo delle sue ricchezze, ma anche delle sue iniziative, delle sue energie, della volontà di migliorare e innovare, oltre che di conservare il meglio”. [Lascio a voi indovinare se questo è un ritratto dell’Italia di oggi o, chessò, una frase di Margaret Thatcher, o della Merkel quando descrive il concetto di economia sociale di mercato o addirittura di Luigi Einaudi o di Pellegrino Capaldo].
Nella visione dei miei (numerosi) contraddittori, invece, la miscela è radicalmente diversa (la descriverò con passione…. vagamente provocatoria): più Stato e meno mercato, più regole, più iniziative dello Stato in economia, più società pubbliche (controllate dallo stato o dalle regioni o dai comuni),  meno libertà per i privati, più programmazione, più disciplina delle iniziative economiche, più burocrazia per controllare che tutto proceda secondo l’ordine programmato, più fiducia nei nostri politici che così bene gestiscono la società loro affidata.
Più o meno la questione dei “mezzi” mi pare questa, forse, lo riconosco, un po’ estremizzata. Speriamo… di riuscire ad appianarla, nel prossimo anno o…. nei prossimi decenni.

[Le 750 parole sarebbero già ampiamente esaurite con quanto cianciato fin qui; ma, oggi, la liturgia domenicale, cui i credenti ben volentieri partecipano, propone quello che io considero l’essenza della Rivelazione per il cattolico. E come tale mi piace segnalarla, perché, così letta, vuol dire tante cose. A questo è dedicata la parte 2 di questo lungo post…. post-vacanze]

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La tradizione ebraica narra di un famoso rabbino (credo si trattasse del rabbino Hillel, storico protagonista di tante dispute talmudiche col rabbino Shammai, nel I secolo a .C.) che, sfidato ad enunciare l’essenza della Torah stando su un solo piede (e quindi in poche parole), scelse una frase essenziale della Legge (mi pare di ricordare: Amerai dunque il Signore Dio tuo…etc) e poi aggiunse: Tutto il resto è spiegazione.
Avendo in mente questa bella storia, da molto tempo sono arrivato a pensare che altrettanto possa dirsi per la pericope dal Vangelo secondo Matteo letta in chiesa oggi (Mt. 16, 13-19)
Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: "La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?". Risposero: "Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti". Disse loro: "Ma voi, chi dite che io sia?". Rispose Simon Pietro: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". E Gesù gli disse: "Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". 
Ecco: "Ma voi, chi dite che io sia?" "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente".  Per me, tutto il resto è spiegazione.

[Quasi 1200 parole! Scusate]


Roma 27 ago 2017

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