Interconnessioni
(di
Felice Celato)
Una
costante del “pensiero” semplicista –
lo notavamo qualche giorno fa – è la negazione
delle interconnessioni (cfr La nausea
del presente, del 2 luglio u.s.), un concetto che forse vale la pena di
espandere (come, del resto, qualcuno mi ha chiesto di fare).
Che
cos’è la negazione delle interconnessioni,
una delle colonne portanti del “pensiero”
semplicista? Mi verrebbe voglia di definirla icasticamente facendo
riferimento ad un oggetto di uso comune:
il rubinetto: ecco, la negazione delle
interconnessioni è una specie di nevrosi
del rubinetto.
Pensano,
i semplicisti, che, solo che lo si
voglia, noi – noi Italiani, poi, per paradosso quasi ridicolo – potremmo
regolare il flusso delle cose che ci spiacciono solo aprendo o chiudendo un
rubinetto. Così con gli immigrati, con le importazioni di prodotti concorrenti
coi nostri (che tutto il mondo ci invidia, naturalmente), con i prodotti
che costano meno dei nostri, con i servizi che impoveriscono il contenuto del
lavoro nei nostri servizi, etc; e persino coi turisti (che una volta
consideravamo un tesoro regalatoci dalla nostra storia). Di tutti questi flussi,
i semplicisti pensano che noi deteniamo un libero rubinetto, manovrabile a
piacimento e in piena libertà da limiti e conseguenze.
Purtroppo
così non è; né è mai completamente
stato; ma tanto più non è oggi, che tutto il mondo vive – ormai da più di
vent’anni – in una dimensione globalizzata
dove persone, beni, servizi e capitali circolano per il mondo senza
significative barriere né fisiche né economiche. Si dirà: ma delle sane
barriere doganali esistevano fino a non molti anni fa! Vero, ma ora, in buona
parte, non esistono più; e, dove esistono, esistono anche complessi meccanismi
bilaterali o multi-laterali che ne assicurano la misura. Così quei 5 miliardi
di persone dalle quali ci “proteggevano” ora sono diventati nostri clienti e
nostri fornitori, detentori di nostre valute con le quali abbiamo pagato i loro
prodotti (o materie prime), nostri concorrenti
nella crescita dei livelli di istruzione, frequentatori di nostre spiagge e di
nostre città e nostri ospitanti lungo le loro spiagge e nelle loro città; ed
inoltre si sono legati a noi nello sviluppo di lunghe GVC (Global Value-Chains), catene globali del valore dove i vari fattori
della produzione (energia, materie prime, capitale, lavoro, etc) si
distribuiscono nello spazio creando interdipendenze mutue e dove le singole
fasi della produzione si frammentano e si realizzano in molti luoghi diversi. Fra
i due immensi, immaginari silos (da
un lato il vecchio mondo con 1 miliardo di persone, dall’altro il “nuovo” mondo
con 6 miliardi di persone) si è installata una fittissima rete di tubi dove
scorrono continuamente enormi flussi di persone, beni, servizi e capitali.
Questo sistema ha tirato fuori dalla miseria estrema più di un miliardo di
persone negli ultimi 20 anni, ha portato a scuola miliardi di persone e,
infine, ha allungato la vita media di miliardi e miliardi di persone, anche
abbattendo drasticamente la mortalità infantile.
Ecco
la nevrosi del rubinetto consiste
nell’illusione di poter regolare a nostro piacimento la quantità di questi
flussi che costituiscono il sistema sanguigno del mondo; anzi, di uno qualsiasi
di questi flussi, quello che più ci fa comodo, naturalmente, fino ad escluderne
totalmente la circolazione; e ciò senza
che tutto il sistema si blocchi. Se poi la nevrosi
del rubinetto si spinge fino ad immaginare la libera manovra dei singoli
rubinettini che presiedono ai minuscoli tubicini che partono e arrivano nel
nostro piccolissimo paese, la nevrosi diventa addirittura follia pura.
Per
carità, non voglio dire che la globalizzazione (che è all’origine di tante
buone cose ma anche di molti dei complessi fenomeni che ci affannano) sia
destinata ad essere intrinsecamente ingovernabile; che non possano – per
esempio – (faticosamente) stabilirsi delle regole di fairness nella integrazione internazionale degli scambi, non
foss’altro per impedire o limitare – anche questo è un esempio – fenomeni di
estremo dumping sociale o addirittura
di dumping dei diritti umani.
Voglio
solo dire che il mondo è diventato più complesso che mai, anche perché il
progresso tecnologico lo ha reso, ad un tempo, più piccolo e più denso, mentre
esplodeva il numero dei suoi abitanti (oggi siamo più del doppio di quanti eravamo
solo cinquant’anni fa). E i fenomeni complessi mal si conciliano con soluzioni
semplicistiche e con l’illusione della natura monadica di ciascun fenomeno (in
questo come in altri campi di quello che l’altro giorno abbiamo chiamato il mercato delle risposte).
Sarebbe
bene, secondo il mio debole parere, che noi tutti che semplicisti non vorremmo
essere, lo avessimo costantemente presente.
Roma
11 luglio 2017
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