martedì 11 luglio 2017

Il "pensiero" semplicista

Interconnessioni
(di Felice Celato)
Una costante del “pensiero” semplicista – lo notavamo qualche giorno fa – è la negazione delle interconnessioni (cfr La nausea del presente, del 2 luglio u.s.), un concetto che forse vale la pena di espandere (come, del resto, qualcuno mi ha chiesto di fare).
Che cos’è la negazione delle interconnessioni, una delle colonne portanti del “pensiero” semplicista? Mi verrebbe voglia di definirla icasticamente facendo riferimento ad un  oggetto di uso comune: il rubinetto: ecco, la negazione delle interconnessioni è una specie di nevrosi del rubinetto.
Pensano, i semplicisti, che, solo che lo si voglia, noi – noi Italiani, poi, per paradosso quasi ridicolo – potremmo regolare il flusso delle cose che ci spiacciono solo aprendo o chiudendo un rubinetto. Così con gli immigrati, con le importazioni di prodotti concorrenti coi nostri (che tutto il mondo ci  invidia, naturalmente), con i prodotti che costano meno dei nostri, con i servizi che impoveriscono il contenuto del lavoro nei nostri servizi, etc; e persino coi turisti (che una volta consideravamo un tesoro regalatoci dalla nostra storia). Di tutti questi flussi, i semplicisti pensano che noi deteniamo un libero rubinetto, manovrabile a piacimento e in piena libertà da limiti e conseguenze.
Purtroppo così non è; né  è mai completamente stato; ma tanto più non è oggi, che tutto il mondo vive – ormai da più di vent’anni – in una dimensione globalizzata dove persone, beni, servizi e capitali circolano per il mondo senza significative barriere né fisiche né economiche. Si dirà: ma delle sane barriere doganali esistevano fino a non molti anni fa! Vero, ma ora, in buona parte, non esistono più; e, dove esistono, esistono anche complessi meccanismi bilaterali o multi-laterali che ne assicurano la misura. Così quei 5 miliardi di persone dalle quali ci “proteggevano” ora sono diventati nostri clienti e nostri fornitori, detentori di nostre valute con le quali abbiamo pagato i loro prodotti  (o materie prime), nostri concorrenti nella crescita dei livelli di istruzione, frequentatori di nostre spiagge e di nostre città e nostri ospitanti lungo le loro spiagge e nelle loro città; ed inoltre si sono legati a noi nello sviluppo di lunghe GVC (Global Value-Chains), catene globali del valore dove i vari fattori della produzione (energia, materie prime, capitale, lavoro, etc) si distribuiscono nello spazio creando interdipendenze mutue e dove le singole fasi della produzione si frammentano e si realizzano in molti luoghi diversi. Fra i due immensi, immaginari silos (da un lato il vecchio mondo con 1 miliardo di persone, dall’altro il “nuovo” mondo con 6 miliardi di persone) si è installata una fittissima rete di tubi dove scorrono continuamente enormi flussi di persone, beni, servizi e capitali. Questo sistema ha tirato fuori dalla miseria estrema più di un miliardo di persone negli ultimi 20 anni, ha portato a scuola miliardi di persone e, infine, ha allungato la vita media di miliardi e miliardi di persone, anche abbattendo drasticamente la mortalità infantile.
Ecco la nevrosi del rubinetto consiste nell’illusione di poter regolare a nostro piacimento la quantità di questi flussi che costituiscono il sistema sanguigno del mondo; anzi, di uno qualsiasi di questi flussi, quello che più ci fa comodo, naturalmente, fino ad escluderne totalmente la circolazione;  e ciò senza che tutto il sistema si blocchi. Se poi la nevrosi del rubinetto si spinge fino ad immaginare la libera manovra dei singoli rubinettini che presiedono ai minuscoli tubicini che partono e arrivano nel nostro piccolissimo paese, la nevrosi diventa addirittura follia pura.
Per carità, non voglio dire che la globalizzazione (che è all’origine di tante buone cose ma anche di molti dei complessi fenomeni che ci affannano) sia destinata ad essere intrinsecamente ingovernabile; che non possano – per esempio – (faticosamente) stabilirsi delle regole di fairness nella integrazione internazionale degli scambi, non foss’altro per impedire o limitare – anche questo è un esempio – fenomeni di estremo dumping sociale o addirittura di dumping dei diritti umani.
Voglio solo dire che il mondo è diventato più complesso che mai, anche perché il progresso tecnologico lo ha reso, ad un tempo, più piccolo e più denso, mentre esplodeva il numero dei suoi abitanti (oggi siamo più del doppio di quanti eravamo solo cinquant’anni fa). E i fenomeni complessi mal si conciliano con soluzioni semplicistiche e con l’illusione della natura monadica di ciascun fenomeno (in questo come in altri campi di quello che l’altro giorno abbiamo chiamato il mercato delle risposte).
Sarebbe bene, secondo il mio debole parere, che noi tutti che semplicisti non vorremmo essere, lo avessimo costantemente presente.
Roma 11 luglio 2017




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