In
risposta ad un commento
Caro
Claudio,
tu
sai troppo bene che un’azienda vale se produce utili (concetto economico; stesso
concetto in linguaggio finanziario: se produce flussi di cassa netti superiori
all’investimento, maggiorato almeno degli interessi) e, grosso modo, se questi utili sono
superiori almeno al rendimento finanziario no-risk;
se, come dici tu, gli imprenditori preferiscono fare cassa (per investimenti
finanziari? Per mangiarsela? Per rimborsare debiti?) evidentemente è perché
l’investimento in azienda non prospetta reddito (economico e, necessariamente,
finanziario). E poi se vendono per far cassa ci sarà qualcuno che compra:
questo qualcuno può buon essere un altro imprenditore italiano (e allora siamo
in piena fisiologia degli avvicendamenti imprenditoriali); o può essere
straniero, evidentemente attratto dal paese Italia. Ora purtroppo non ho
sottomano dati recentissimi; ti trascrivo però quello che esattamente un anno
fa (il 7 giugno 2104) scriveva il Censis nell’annunciare un suo studio sugli
investimenti esteri in Italia:
Roma,
7 giugno 2014 - Crollati gli investimenti esteri. Gli
investimenti diretti esteri in Italia sono stati pari a 12,4 miliardi di euro
nel 2013. Rispetto al 2007, l'anno prima dell'inizio della crisi, quegli
investimenti che potrebbero rilanciare la crescita e favorire l'occupazione
sono diminuiti del 58%. I momenti peggiori sono stati il 2008, l'anno della
fuga dei capitali, in cui i disinvestimenti hanno superato i nuovi investimenti
stranieri, e il 2012, l'anno della crisi del debito pubblico. La crisi ha
colpito tutti i Paesi a economia avanzata, ma l'Italia si distingue per la
perdita di attrattività verso i capitali stranieri. Nonostante sia ancora oggi
la seconda potenza manifatturiera d'Europa e la quinta nel mondo, il nostro
Paese detiene solo l'1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro
il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8%
del Regno Unito. La reputazione è oggi un fattore decisivo per favorire la
competitività di un Paese. Ma l'Italia ha un deficit reputazionale accumulato
negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della
criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di
leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione,
infrastrutture carenti.
Non
credo che in quest’anno siano tanto migliorati i numeri e la reputazione
dell’Italia (basta aprire i giornali!); né serve argomentare che qualche fondo
arabo ha recentemente comprato qualche trophy
asset nel settore immobiliare Italiano: si tratta di operazioni di real estate che fruiscono anche dei
prezzi particolarmente depressi che corrono su questo mercato. E non sono
questi gli investimenti di cui abbiamo bisogno.
Nel
frattempo però sono emigrate all’estero imprese storicamente Italiane, dalle
molte del settore moda (emigrato in Francia), alla Fiat e perfino alla scassata
Alitalia (addirittura “volata” fuori Europa).
Quanto
al restringimento dello stato che io vedo come necessario ed urgente, il
ragionamento è semplice: lo Stato, nelle sue espressioni anche territoriali, si
occupa, essenzialmente, come tutti gli stati, della difesa, della scuola, della
giustizia, della previdenza, della sanità, etc.; e, soprattutto, dell’attività normativa, nella quale rientra
anche il regolamento delle attività economiche (e non voglio qui giudicare di
come lo fa, magari ne parliamo un’altra volta); ma da noi si occupa anche di:
poste, ferrovie, gas, acqua, luce, pulizia urbana, strade, etc.; fa, cioè, un
mestiere che non è suo e nel quale porta tutte le distorsioni che sono tipiche
del suo operare (e che non è il caso di ri-elencare qui). Solo restringendolo
al suo proprio mestiere si può sperare di conservarne le “energie” (morali, if any, tecniche e…. finanziarie) per
quello che solo lo stato può fare; per il resto, largo a chi può fare meglio!
Lo Stato regolerà, incentiverà o disincentiverà, e anche controllerà,
sperabilmente con serietà, certezza del diritto e rispetto dei cittadini.
Da
giovane sono stato un vivace liberale; poi mi sono immerso nel lavoro e ho
pensato poco a come lo stato dovrebbe atteggiarsi; avevo troppo da fare. Oggi,
ho più tempo per pensare, non ostante tutto, (e anche assai più esperienze sul
groppone), e sono tornato ad essere un vivace liberale, con qualche venatura di
impazienza in più, però, purtroppo; del resto, sai, in questa tanto picciola viglia de’ sensi che è del rimanente, mi
piacerebbe vedere che abbiamo ritrovato una strada.
Ciao
e grazie del tuo intervento
FC
Roma 7 giugno 2015
Roma 7 giugno 2015
Caro Felice Celato,
RispondiEliminagrazie dell’ampia risposta.
Desidero precisare che non sono un promotore di una nuova IRI ma credo più semplicemente che ci sia qualche settore di attività - specialmente nei servizi - in cui lo Stato potrebbe avere un ruolo molto utile per gli Italiani.
Con grande stima e ammirazione per la tua lodevole iniziativa per “riuscire a comprendere con sufficiente chiarezza, veder chiaro”: cercherò di condividerla nel mio piccolo network Linkedin.
Claudio