domenica 7 giugno 2015

Numeri e futuro/2

In risposta ad un commento

Caro Claudio,
tu sai troppo bene che un’azienda vale se produce utili (concetto economico; stesso concetto in linguaggio finanziario: se produce flussi di cassa netti superiori all’investimento, maggiorato almeno degli interessi) e, grosso modo, se questi utili sono superiori almeno al rendimento finanziario no-risk; se, come dici tu, gli imprenditori preferiscono fare cassa (per investimenti finanziari? Per mangiarsela? Per rimborsare debiti?) evidentemente è perché l’investimento in azienda non prospetta reddito (economico e, necessariamente, finanziario). E poi se vendono per far cassa ci sarà qualcuno che compra: questo qualcuno può buon essere un altro imprenditore italiano (e allora siamo in piena fisiologia degli avvicendamenti imprenditoriali); o può essere straniero, evidentemente attratto dal paese Italia. Ora purtroppo non ho sottomano dati recentissimi; ti trascrivo però quello che esattamente un anno fa (il 7 giugno 2104) scriveva il Censis nell’annunciare un suo studio sugli investimenti esteri in Italia:
Roma, 7 giugno 2014 - Crollati gli investimenti esteri. Gli investimenti diretti esteri in Italia sono stati pari a 12,4 miliardi di euro nel 2013. Rispetto al 2007, l'anno prima dell'inizio della crisi, quegli investimenti che potrebbero rilanciare la crescita e favorire l'occupazione sono diminuiti del 58%. I momenti peggiori sono stati il 2008, l'anno della fuga dei capitali, in cui i disinvestimenti hanno superato i nuovi investimenti stranieri, e il 2012, l'anno della crisi del debito pubblico. La crisi ha colpito tutti i Paesi a economia avanzata, ma l'Italia si distingue per la perdita di attrattività verso i capitali stranieri. Nonostante sia ancora oggi la seconda potenza manifatturiera d'Europa e la quinta nel mondo, il nostro Paese detiene solo l'1,6% dello stock mondiale di investimenti esteri, contro il 2,8% della Spagna, il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia, il 5,8% del Regno Unito. La reputazione è oggi un fattore decisivo per favorire la competitività di un Paese. Ma l'Italia ha un deficit reputazionale accumulato negli anni a causa di corruzione diffusa, scandali politici, pervasività della criminalità organizzata, lentezza della giustizia civile, farraginosità di leggi e regolamenti, inefficienza della pubblica amministrazione, infrastrutture carenti.
Non credo che in quest’anno siano tanto migliorati i numeri e la reputazione dell’Italia (basta aprire i giornali!); né serve argomentare che qualche fondo arabo ha recentemente comprato qualche trophy asset nel settore immobiliare Italiano: si tratta di operazioni di real estate che fruiscono anche dei prezzi particolarmente depressi che corrono su questo mercato. E non sono questi gli investimenti di cui abbiamo bisogno.
Nel frattempo però sono emigrate all’estero imprese storicamente Italiane, dalle molte del settore moda (emigrato in Francia), alla Fiat e perfino alla scassata Alitalia (addirittura “volata” fuori Europa).
Quanto al restringimento dello stato che io vedo come necessario ed urgente, il ragionamento è semplice: lo Stato, nelle sue espressioni anche territoriali, si occupa, essenzialmente, come tutti gli stati, della difesa, della scuola, della giustizia, della previdenza, della sanità, etc.; e, soprattutto,  dell’attività normativa, nella quale rientra anche il regolamento delle attività economiche (e non voglio qui giudicare di come lo fa, magari ne parliamo un’altra volta); ma da noi si occupa anche di: poste, ferrovie, gas, acqua, luce, pulizia urbana, strade, etc.; fa, cioè, un mestiere che non è suo e nel quale porta tutte le distorsioni che sono tipiche del suo operare (e che non è il caso di ri-elencare qui). Solo restringendolo al suo proprio mestiere si può sperare di conservarne le “energie” (morali, if any, tecniche e…. finanziarie) per quello che solo lo stato può fare; per il resto, largo a chi può fare meglio! Lo Stato regolerà, incentiverà o disincentiverà, e anche controllerà, sperabilmente con serietà, certezza del diritto e rispetto dei cittadini.
Da giovane sono stato un vivace liberale; poi mi sono immerso nel lavoro e ho pensato poco a come lo stato dovrebbe atteggiarsi; avevo troppo da fare. Oggi, ho più tempo per pensare, non ostante tutto, (e anche assai più esperienze sul groppone), e sono tornato ad essere un vivace liberale, con qualche venatura di impazienza in più, però, purtroppo; del resto, sai, in questa tanto picciola viglia de’ sensi che è del rimanente, mi piacerebbe vedere che abbiamo ritrovato una strada.
Ciao e grazie del tuo intervento

FC
Roma 7 giugno 2015

1 commento:

  1. Caro Felice Celato,
    grazie dell’ampia risposta.
    Desidero precisare che non sono un promotore di una nuova IRI ma credo più semplicemente che ci sia qualche settore di attività - specialmente nei servizi - in cui lo Stato potrebbe avere un ruolo molto utile per gli Italiani.
    Con grande stima e ammirazione per la tua lodevole iniziativa per “riuscire a comprendere con sufficiente chiarezza, veder chiaro”: cercherò di condividerla nel mio piccolo network Linkedin.

    Claudio

    RispondiElimina