Il
conto degli errori
(di
Felice Celato)
Eccomi
ancora, complici una notte insonne ed un pomeriggio di pioggia, con un'altra
segnalazione, stavolta un po’ impegnativa ma, almeno per me e dal punto di
vista che dirò, paradossalmente molto confortante. Il libro, segnalato dal Corriere della sera, è di un politologo
italiano, Leonida Tedoldi (Laterza 2015) che ha condotto un’attenta analisi su Il conto degli errori – Stato e debito
pubblico in Italia, che copre il periodo dal 1970 fin quasi agli anni
nostri.
L’analisi
di Tedoldi mette a fuoco – attraverso una rassegna molto dettagliata delle varie
politiche economiche perseguite nel tempo – come, all’origine della
difficilissima situazione del debito pubblico che stiamo attraversando, non sia
una intrinseca “perversità” o “scelleratezza” dei vari, tanti governi, anche di
diversa “ispirazione”, succedutisi nel tempo in Italia, una totalizzante perdita
di controllo o semplicemente ed esclusivamente una eccessiva estensione dello
stato (che pure a mio giudizio c’è stata), come vogliono le (interessate)
vulgate correnti. Probabilmente –
scrive l’autore – le ragioni della
costruzione di questi luoghi comuni sono riconducibili da una parte
all’insofferenza sociale verso un problema, quello del debito pubblico, che
incide pesantemente sulla crescita economica ed è ormai intollerabile per uno
Stato tra i più importanti a livello europeo; dall’altra, alla subliminale
carica rassicurante di tali convinzioni, che attribuisce sostanzialmente la
responsabilità del peso assai preoccupante del debito alla classe politica e
quindi ai governi e allo Stato, spesso inefficienti e inefficaci, riservando
alla società – la cosiddetta società civile – solo il ruolo della vittima.
L’uso della strategia della vittima nel nostro paese, come è noto, è assai
diffuso e ricorrente (soprattutto ora, nel rapporto con l’Unione europea).
E non solo a proposito di politiche economiche, aggiungo io.
Certamente,
e l’analisi di Tedoldi lo documenta, ci sono stati errori e sottovalutazioni - peraltro in situazioni macroeconomiche spesso difficili -, governi più o meno
sensibili al tema, come pure forti avvertenze disattese, almeno fino al momento in cui
il debito pubblico è diventato un problema sovranazionale; ma, in sostanza, il
ruolo delle due parti – istituzioni
pubbliche e società nel suo complesso [sottolineature mie], se possiamo chiamarle così – non è poi tanto distinto e il debito
pubblico è sempre stato una scelta politica razionale per i governi e
un’opportunità per alcuni gruppi sociali che ne traggono sostanziosi benefici
economici, anche quando si avviò la costruzione dell’unione monetaria europea…..Per
queste ragioni vari governi crearono l’«illusione razionale» – se posso usare
questo ossimoro – che fosse possibile indebitare lo Stato anche a livelli molto
elevati per poter finanziare la crescita e, nello stesso tempo, garantire al
ceto medio il sostegno alle sue esigenze di sicurezza e soprattutto al suo
stile di vita. È evidente che da molti punti di vista la reale mancanza di
un’alternativa di governo fu decisiva per la gestione politica del debito
pubblico. In definitiva, dunque, si può anche pensare che la
crescita così rilevante del debito sia …..dovuta a una serie di gravi errori
politici di un sistema bloccato, errori - però - che la società ha accettato e digerito
perché fonte di sostegno economico e di accumulazione per decenni.
Ebbene,
questo tipo di approccio, come dicevo, per certi versi mi conforta perché dà
fondamento analitico ad una cosa che mi avrete sentito ripetere molte volte
quando ho cercato di intravvedere (e sapete quanto mi è difficile!) una via
d’uscita politica al presente, una via d’uscita tanto speranzosa da potere
apparire ingenua, ma che, secondo me, rimane comunque l’unica via d’uscita
praticabile: l’operazione verità (e verità diffusa!) sulla natura e le origini
del nostro debito (e del nostro benessere), la piena assunzione di
corresponsabilità fra politica (di ogni parte) e società, dalla quale
assunzione, unita al reciproco “perdono” politico (sic!), può derivare la
rigenerazione degli stamina (energie
vitali) che sembriamo aver perduto nelle nebbie di populismi, contro-populismi
e faziosità (ideologicamente) violente.
Per
il resto, come dicevo, il libro sviluppa analisi dettagliate, alcune delle
quali – non ostante negli anni ’70-’80 fossi da tempo…. saldamente nell’età
della ragione – a suo tempo mi erano sfuggite o comunque di certo non le avevo
condotte con tanta lucidità e abbondanza di dati. Quindi una lettura da
raccomandare, come del resto faceva Mieli sul Corriere di ieri.
Roma
9 giugno 2015
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