martedì 9 giugno 2015

Ancora letture

Il conto degli errori
(di Felice Celato)
Eccomi ancora, complici una notte insonne ed un pomeriggio di pioggia, con un'altra segnalazione, stavolta un po’ impegnativa ma, almeno per me e dal punto di vista che dirò, paradossalmente molto confortante. Il libro, segnalato dal Corriere della sera, è di un politologo italiano, Leonida Tedoldi (Laterza 2015) che ha condotto un’attenta analisi su Il conto degli errori – Stato e debito pubblico in Italia, che copre il periodo dal 1970 fin quasi agli anni nostri.
L’analisi di Tedoldi mette a fuoco – attraverso una rassegna molto dettagliata delle varie politiche economiche perseguite nel tempo – come, all’origine della difficilissima situazione del debito pubblico che stiamo attraversando, non sia una intrinseca “perversità” o “scelleratezza” dei vari, tanti governi, anche di diversa “ispirazione”, succedutisi nel tempo in Italia, una totalizzante perdita di controllo o semplicemente ed esclusivamente una eccessiva estensione dello stato (che pure a mio giudizio c’è stata), come vogliono le (interessate) vulgate correnti. Probabilmente – scrive l’autore – le ragioni della costruzione di questi luoghi comuni sono riconducibili da una parte all’insofferenza sociale verso un problema, quello del debito pubblico, che incide pesantemente sulla crescita economica ed è ormai intollerabile per uno Stato tra i più importanti a livello europeo; dall’altra, alla subliminale carica rassicurante di tali convinzioni, che attribuisce sostanzialmente la responsabilità del peso assai preoccupante del debito alla classe politica e quindi ai governi e allo Stato, spesso inefficienti e inefficaci, riservando alla società – la cosiddetta società civile – solo il ruolo della vittima. L’uso della strategia della vittima nel nostro paese, come è noto, è assai diffuso e ricorrente (soprattutto ora, nel rapporto con l’Unione europea). E non solo a proposito di politiche economiche, aggiungo io.
Certamente, e l’analisi di Tedoldi lo documenta, ci sono stati errori e sottovalutazioni - peraltro in situazioni macroeconomiche spesso difficili -, governi più o meno sensibili al tema, come pure forti avvertenze disattese, almeno fino al momento in cui il debito pubblico è diventato un problema sovranazionale; ma, in sostanza, il ruolo delle due parti –  istituzioni pubbliche e società nel suo complesso [sottolineature mie], se possiamo chiamarle così – non è poi tanto distinto e il debito pubblico è sempre stato una scelta politica razionale per i governi e un’opportunità per alcuni gruppi sociali che ne traggono sostanziosi benefici economici, anche quando si avviò la costruzione dell’unione monetaria europea…..Per queste ragioni vari governi crearono l’«illusione razionale» – se posso usare questo ossimoro – che fosse possibile indebitare lo Stato anche a livelli molto elevati per poter finanziare la crescita e, nello stesso tempo, garantire al ceto medio il sostegno alle sue esigenze di sicurezza e soprattutto al suo stile di vita. È evidente che da molti punti di vista la reale mancanza di un’alternativa di governo fu decisiva per la gestione politica del debito pubblico. In definitiva, dunque, si può anche pensare che la crescita così rilevante del debito sia …..dovuta a una serie di gravi errori politici di un sistema bloccato, errori  - però - che la società ha accettato e digerito perché fonte di sostegno economico e di accumulazione per decenni.
Ebbene, questo tipo di approccio, come dicevo, per certi versi mi conforta perché dà fondamento analitico ad una cosa che mi avrete sentito ripetere molte volte quando ho cercato di intravvedere (e sapete quanto mi è difficile!) una via d’uscita politica al presente, una via d’uscita tanto speranzosa da potere apparire ingenua, ma che, secondo me, rimane comunque l’unica via d’uscita praticabile: l’operazione verità (e verità diffusa!) sulla natura e le origini del nostro debito (e del nostro benessere), la piena assunzione di corresponsabilità fra politica (di ogni parte) e società, dalla quale assunzione, unita al reciproco “perdono” politico (sic!), può derivare la rigenerazione degli stamina (energie vitali) che sembriamo aver perduto nelle nebbie di populismi, contro-populismi e faziosità (ideologicamente) violente.
Per il resto, come dicevo, il libro sviluppa analisi dettagliate, alcune delle quali – non ostante negli anni ’70-’80 fossi da tempo…. saldamente nell’età della ragione – a suo tempo mi erano sfuggite o comunque di certo non le avevo condotte con tanta lucidità e abbondanza di dati. Quindi una lettura da raccomandare, come del resto faceva Mieli sul Corriere di ieri.
Roma 9 giugno 2015





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