Purposes and means
(di Felice Celato)
Fini e mezzi, come dicono gli americani; questi due concetti
che, non solo nel management ma anche
in politica, serietà vorrebbe sempre correlati, temo torneranno ad essere (ora
che abbiamo un nuovo governo da presentare alle Camere) reciproci sconosciuti.
Lunedì e martedì sentiremo, sono pronto a scommetterci,
nuovi (o vecchi) proclami di centralità, nuove (o vecchie) priorità, nuove (o
vecchie) indilazionabilità, senza alcuna menzione (per restare nel mondo degli
accenti sulle a) delle modalità e delle compatibilità (per tacere delle verità).
Eppure, come mi dice ogni amico dell'una o dell'altra
fazione, e come io stesso penso, non ci resta che sperare ferocemente nel
successo di questa “sfida” da ultima spiaggia degli attuali assetti democratici;
dopo di loro sarebbe il caos e l'abbandono nelle mani ignote di quella
barbarica deviazione della democrazia
verso il populismo emotivo che bussa alla porte di ogni democrazia fallita.
Dunque, gli auguri al nuovo e giovane Presidente del Consiglio
e alla sua rischiosa compagine ministeriale non possono essere più sinceri (almeno
da parte mia).
E tutto ciò, a prescindere, come diceva Totò: a prescindere dalle modalità dell'avvicendamento governativo, dai tanti dubbi che suscita il convinto appoggio di tutto il PD, dalle forse smodate ambizioni di durata, dalle
difficoltà che avrà la tenuta della insicura alleanza, dalla inesplorata
capacità di governo di molti ministri e ministre; dalla mancanza (come scrive
oggi The Economist) di un vero mandato
elettorale in capo a Renzi (non, dico io, perché sia strano un premier non eletto dal famoso popolo -
il che in Italia non è previsto dalla Costituzione - ma perché il suo partito,
che peraltro non gli è integralmente fedele, non ha ricevuto il largo consenso
elettorale che servirebbe per governare un paese con le difficoltà che abbiamo,
to clean up the Italy’s mess, per
ripulire i “casini” dell’Italia, sempre per citare The Economist).
Ma per non essere (o apparire) il solito cupo malgré soi, dirò anche le possibili ragioni
della disperata speranza: Renzi, come del resto molti altri, si rende conto che
non può fallire; la sua simpatia in un mondo così abbandonato alle seduzioni
della mediaticità può essere anche un'arma; la (troppo ) lunga irresolutezza
del suo pur serio predecessore (decent,
dice The Economist) ha lasciato in
tutti un senso di urgenza su cui Renzi può far leva (speriamo senza
avventatezze); il Ministero dell'Economia (il vero quartier generale del
governo negli assetti europei e nelle condizioni in cui siamo) è nelle mani di
una persona seria ed esperta (non a caso non si è voluto al suo posto un
politico "puro"); il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (vero
direttore generale del Governo) dovrebbe essere una persona capace; i giovani talora sono sorprendenti (ed io
sono sempre pronto a far loro credito); l'Italia, per sola virtù del traino
dell'Europa, sta passando dalla decrescita alla crescita zero (e questo è già
un passo avanti, insufficiente per una “ripresa sociale” ma pur sempre meglio
della caduta indietro); il 2016 è ancora sufficientemente lontano, ma non
troppo da indurci in follie; il nuovo Primo Ministro sembra sinceramente
lontano dalla mentalità statalista di molti dei suoi "compagni" e
sembra averne superato molti dei riflessi pavloviani
che hanno ostacolato la modernizzazione e la liberalizzazione del Paese.
Dunque, vedremo, o meglio: chi vivrà vedrà. Speriamo soprattutto
nel pendolo di De Rita (vedasi post del
7 novembre u.s.): solo l’inversione del “degrado antropologico” può porre le
premesse per un successo politico.
Purtroppo ci sono di mezzo le elezioni Europee, che mi
destano molte preoccupazioni (per la verità non solo su scala Italiana). Saranno
anche una prova per Renzi lungo il crinale che sottolinea The Economist. E, anche qui, speriamo disperatamente che la superi.
Roma, 22 febbraio 2014
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