Censis
(di Felice Celato)
Segnalo, a chi vive a Roma ed è in grado di regalarsi qualche mattina di
analisi sociologica, il ciclo di presentazioni nelle quali il Censis, a metà
anno, come è ormai consuetudine, anticipa alcuni temi che poi confluiscono nell’interessantissimo Rapporto annuale presentato di solito nella
prima settimana di dicembre.
Quest’anno i quattro incontri (il primo oggi, gli altri ogni martedì di
giugno alle 10,30, nella sede del Censis) si muovono attorno al tema della “società impersonale” della quale si focalizzano
le tendenze politiche (oggi), l’uso disordinato dei numeri (11 giugno), il
primato dell’opinione nella comunicazione orizzontale (18 giugno) e, infine ed
in sintesi, la fenomenologia sociale complessiva.
Dico subito, già dopo la prima presentazione, che la radiografia è
tutt’altro che confortante: la nostra società vive una fase di scollamento
generale nel quale fatica a riconoscere se stessa diversamente da un paesaggio
dato, per il quale non si ha né responsabilità né passione: tutto è mio
(persino la vita e la morte, sono miei e voglio gestirli come piace a me)
escluso il paesaggio in cui vivo, paesaggio umano e sociale nel quale il
prevalente fattore aggregante è costituito “dagli
stili di vita” (“il consumo esibito”
del “popolo dei Suv”), diventati il driver prevalente del “sentirsi più vicino a” per quella “moltitudine plebea” in cui ci siamo
trasformati, fuggendo partecipazione ed impegno, pervasi di un “rabbioso voyeurismo” sociale (l’assistere
alle cose, limitandosi all’invettiva), paralizzati dalla pulsione “ad impallinare tutto e tutti” per
placare “l’egemonia monotematica della
caccia alla casta e ai suoi misfatti”, travolti dalla assenza di dinamiche
ascensionali della politica, abbandonata da ogni passione civica, ridotta alla
disperata prevalenza di un “egualitarismo
verso il basso”, senza speranze né dinamiche in avanti, senza più “gli stimoli a crescere, a salire, a
diventare altro da quello che si è”, generatore di “rancori vaganti” di “una
società seduta e rabbiosa”.
Il contesto (nel quale la disaffezione per la politica appare dilagante),
come si capisce da questa piccolissima carrellata delle espressioni più
significative della presentazione, non è di quelli che spingono all’ottimismo e
temo che per leggere le vie d’uscita secondo De Rita (che di solito ne addita
qualcuna!) occorra aspettare la prima settimana di dicembre (nel frattempo,
meglio, molto meglio, ovviamente, leggere il testo, scaricabile registrandosi
su www.censis.it)
Per quanto mi riguarda, invece, ne ho tratto un provvisorio, perverso conforto: la mia sconfortante
percezione della natura antropologica della crisi che ci pervade non è senza
radici! Non solo non siamo preparati al futuro, come dicevamo nel blog dell’altro giorno, ma forse siamo anche depaysé rispetto al
presente.
Per non chiudere così, mi permetto solo di dare un consiglio, sicuramente
valido per coloro che coltivano la fede: rileggete il salmo 120 (“Alzo gli occhi versi i monti”). Aiuta
senz’altro, più di un comizio di un politico che ci promette una svolta!
Roma, 5 giugno 2013
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