Appunti per una speranza mondana
(di Felice Celato)
Si noti bene, in
premessa: non escludo affatto (è bene prevenire i maligni!... e i parenti!) di
essere afflitto da un certo auto-compiacimento intellettuale, una sorta di
narcisismo culturale, forse alimentato da un ormai consolidato spregio per gran
parte delle massificazioni “culturali” della nostra società, tutta intrisa di political correctness, di diffuso
opinionismo incompetente e di emozionismi irriflessivi; ma spero che mi sia qui
perdonato, nello spirito del mea culpa
che intendo fare.
Dunque, se provo a
pensare al mio “posizionamento” identitario nella società di oggi, mi trovo –
senza alcun pudore, anzi, con una certa soddisfazione – ad immaginare per me
stesso una serie identità (c’è un bel libro, al riguardo, di Amartya Sen, ma
non ne ricordo il titolo) tutte minoritarie [il tutto, temo, temperato dal
sospetto di essere anche nella maggioranza presuntuosa!]: faccio parte, o
almeno credo (o amo pensare ) di far parte, di una lunga serie di minoranze;
per esempio: quella dei religiosi e, in questo ambito, quella dei cattolici
praticanti, quella garantista e liberale (nel senso dei rapporti
cittadino-stato), quella de-ideologizzata, quella europeista e immigrazionista,
quella “colta” che legge molti libri ogni anno e i giornali (più di uno e non
solo italiani) quasi tutti i giorni, quella che non guarda i talk-show, quella solidarista e,
allo stesso tempo, fiduciosa nei mercati (ovviamente regolamentati) etc.; e
persino quella mono-familiare.
In questi contesti
minoritari (nei quali mi crogiolo), ho, credo di poter dire, molti amici
(un po’ meno nell’ambito delle identità liberali, in politica ed in economia,
ma qui non importa), anzi direi pressoché tutti gli amici; e, appunto, in
questi ambiti umani mi capita continuamente di constatare, con grande
soddisfazione, l’esistenza di una realtà culturale e civile completamente
diversa da quella che quotidianamente alimenta l’ormai – da me – odiata
“opinione pubblica” o che, pure quotidianamente, indulge ai comportamenti e ai
“pensieri” di massa come ci vengono descritti dalle più spietate analisi
sociologiche che seguo costantemente.
Forse sono proprio
queste le “minoranze in stand–by….nell’attesa
di tempi nuovi”, di cui il Censis (vedasi la presentazione: Fenomenologia della società impersonale)
sospetta (e spera) l’esistenza. Ma, come che sia, queste minoranze
profondamente difformi dalle maggioranze, questi spessori umani e civili,
secondo me esistono, e, ne sono certo, anche ben al di là del mio reach relazionale (ed affettivo). E, a
giudicare da certi loro silenziosi operare, dai loro sforzi costanti per capire
e costruire, sono vive e vegete, non ostante il contorno; e spesso,
quotidianamente fanno, senza clamore, da fattivo ed instancabile lievito in
molte situazioni per altri, talora sconosciuti, difficilissime.
Di fronte ad esse il mio
“pessimismo” sociale si sente colpevole ed irriconoscente ( e, di qui, il mio mea culpa);il fatto è, però, che ancora
non vedo come questa minoritaria vivacità intellettuale ed umana, questa
riserva di civiltà sociale, possa essere messa a frutto per
"risanare" la "mucillagine" maggioritaria, come si possa
risalire la china del depauperamento culturale ed antropologico sulla quale ci
siamo avviati. Certo, so bene che dieci "giusti" possono salvare
un'intera comunità bacata (Gen., 18, 20 e segg.); il fatto è, però, che, oltre
a non vedere molti Mosè in giro, non vedo nemmeno molti Abramo, disposti a
sfidare la giustizia di Dio impugnando la bandiera di quella limitata comunità
di giusti.
L'unica cosa che mi pare
politicamente sensata, per ora, è quella di far mancare il consenso ad ogni
movimento o partito di massa: occorre decostruire questa macchina infernale che
ci sta macinando. E innaffiare di cure (e di affetto) questo “resto” della
società che deve salvarsi e che può salvarla.
Roma, 27 giugno 2013
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