L’Italia e il Nobel per la pace
(di
Felice Celato)
Da
molto tempo l’assegnazione dei premi Nobel (mi riferisco ai tre per i quali
posso coscientemente formulare un giudizio, cioè quello per la Pace, quello per
la Letteratura e quello per l’Economia) ha smesso di interessarmi. Confesso,
anzi, che talora le decisioni assunte mi hanno addirittura disgustato (per
tutti: il Nobel per la Pace del 1994, assegnato niente meno che ad Arafat e il
ruffiano Nobel ad Obama appena eletto) o lasciato profondamente perplesso (per
esempio, i Nobel per la Letteratura a Gunther Grass e a Dario Fò).
Dunque
nemmeno il Nobel per la Pace assegnato quest’anno all’Europa mi ha
impressionato.
Però,
un merito questa assegnazione, devo riconoscerlo, ce l’ha: ha ricordato a tutti
gli immemori nostri concittadini Europei (e quindi – sperabilmente – anche a
molti Italiani un po’ fessi) un merito straordinario dell’Unione Europea:
quello di aver assicurato al Vecchio Continente il più lungo e prospero periodo
di pace della sua travagliata storia.
Un
merito non da poco, sarebbe folle negarlo; di più: un merito epocale e
fondante, che varrebbe da solo a bilanciare le tante delusioni che la
costruzione dell’Europa ci ha poi riservato e continua a riservarci, anche per
la pochezza delle sue leaderships.
Eppure
le tragiche memorie delle guerre non sono così lontane nel tempo (non sono ancora
passati cent’anni dalla I guerra mondiale, coi suoi 16 milioni morti e poco più
di sessanta dalla II, coi suoi 50 e passa milioni di morti) e nello spazio (basti
pensare alla guerra che si è combattuta al confine orientale dell’Italia dopo
la dissoluzione della Jugoslavia o alle guerre che tuttora si combattono a poche
miglia dalle nostre coste mediterranee). In fondo, basta pensarci un po’ nella
prospettiva di oggigiorno, le due guerre mondiali non furono altro che delle
gigantesche guerre civili Europee che assunsero una dimensione mondiale per il
coinvolgimento di Stati Uniti e Giappone ma che presero corpo proprio per
fatali ed insane passioni dell’Europa (dai nazionalismi che incendiarono
l’Europa dei primi anni del secolo scorso alle aggressive ideologie del
fascismo e del nazismo).
La
storia del secolo scorso ci ha insegnato con tragica chiarezza il costo morale
e civile ed umano della non-Europa ma la gran parte di noi [almeno di quelli che parlano presumendo di
interpretare il sentire popolare che invece concorrono a (de)formare] non
sembra averne coscienza e sfida i moniti ineludibili della storia diffondendo
panzane incoscienti (anzi, facendosene bandiera) per bocca di cacicchi
provinciali ed incolti.
Allora,
ben venga anche il (decaduto) Nobel all’Europa, quand’anche, risibilmente, già
si disputi su chi debba andare a ritirarlo.
La
storia ci ha insegnato, come dicevamo, il costo della non–Europa; speriamo che
il futuro ci insegni il beneficio dell’Europa, nonostante da noi non se ne
vedano le premesse.
Per
noi Italiani, in questo tragico contesto che viviamo confusi, depressi e forse
disperati, c’è insito in questa memoria un monito, temo inutile: non
scherziamo, ragazzi! Oggi le decisioni che contano veramente per i cittadini
non si prendono né a Roma né, tampoco, a Vasto. Qui si possono dibattere
confusamente le alchimie elettoralistiche, le vecchie begucce delle troppe
botteghe, ed altre apparenti miserie di ideologie proto-novecentesche; ma il
benessere dei cittadini, il quadro dei loro diritti, la loro aspirazione di un
futuro non misero si formano altrove, da parte di uomini di cultura Europea,
che conoscono il mondo ed hanno viaggiato al di fuori del loro municipio e
sanno farsi apprezzare nei luoghi che contano, dove non servono le narrazioni e
le bolse retoriche di vecchi e pittoreschi provinciali che alimentano le loro idee controllando su Twitter i riflessi delle stupidaggini che hanno diffuso.
Se
si crede che così non è, basta dirlo con chiarezza ed aspettare le conseguenze:
l’attesa, temo, non sarà lunga!
Roma,
14 ottobre 2012
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