Lenti
(di
Felice Celato)
Ci
siamo forse intrattenuti un po’ troppo, in questi ultimi tempi, sulle goffe
schermaglie pre-pre-elettorali dei partiti di questo povero Paese, povero di
idee, di orientamenti condivisi, di stamina
(energie vitali) e di carità; per un po’ proveremmo a tacerne, come in fondo è
più consono a questo blog, dove si
vorrebbe solo ragionare insieme, fuori dal rumore più convulso dei troppi, semmai
solo occhieggiando ai costumi intellettuali del nostro sentire collettivo. Se
qualche incursione più specifica ci verrà istintivo di tornare a fare, per
qualche tempo le riserveremo alla nostra rubrichetta “Stupi-diario”, dove
cerchiamo di sorridere, magari amaramente, fra stupori e stupidità dei molti
linguaggi (e, ne sono sicuro, il “dibattito” in corso nei partiti ce ne offrirà
già sovrabbondanti occasioni).
Dunque
torniamo seri, almeno noi.
Mi è
capitato di leggere, non ricordo dove, che il cardinale Newman ha voluto sulla
sua tomba questa iscrizione: “Ex umbris
et immaginibus ad Veritatem”.
Già,
ombre ed immagini: questo è, finché non giungeremo alla Verità, il senso della nostra comprensione del mondo,
questo il terreno su cui costruiamo le nostre feroci battaglie, questo l’appannato
paesaggio che fa da contorno all’affannata contesa quotidiana per spazi che
appena intuiamo e per territori che non conosciamo e dei quali ci facciamo
immagini che diventano idoli.
Mi
veniva in mente questa riflessione nel considerare, in generale e senza alcun
riferimento alle specifiche opinioni di qualcuno, l’uso di immagini ed ombre nelle retoriche politiche. E vorrei soffermarmi sull’ambigua e forte
suggestione che nel linguaggio pubblico ha assunto il concetto di “centralità”.
“Centralità” vorrebbe essere il principio cardine, il concetto ispiratore, la
chiave ermeneutica di più cose (in politica: di più azioni), di per sé dotata
di una condizionante forza di coordinamento di tutto ciò che è (o vorrebbe
essere presentato come) di contorno: e così
dovremmo “porre al centro” di
ogni nostra azione politica a volte il cittadino, talora la giustizia, talaltra
il lavoro, talaltra ancora la ripresa economica, sempre l’onestà, qualche volta
la Costituzione, di quando in quando l’Italia, più raramente l’Europa.
Ma
che cosa c’è “dentro” queste parole apparentemente fondanti ma in realtà vaghe
e suggestive?
Non
appena si esce dal recinto dorato della retorica, ci si rende conto che esse
occultano più che rivelare, oscurano più che spiegare, creano un idolo
facile da adorare perché misterioso e
luminoso, offrendosi come uno straordinario veicolo di ambiguità ed
indeterminatezza; quasi come se non ci rendessimo conto che la straordinaria
complessità del nostro quotidiano e la grande difficoltà che attraversa hanno
trasformato la logica di ogni azione politica in una delicata miscela di
equilibri, difficili da creare e ancor più da mantenere nel tempo, mentre
cambia frettolosamente la scena del mondo.
Allora, alle ombre e alle immagini che sono proprie del nostro guardare senza vedere la
realtà più concreta che ci circonda, aggiungiamo le mega-ombre e le mega–immagini che creiamo per dissimulare il buio della nostra comprensione.
Come
Dippold, l’ottico di Spoon River, ci affanniamo a cambiare le lenti dei nostri
occhiali finché, dopo tante inutili prove, non vediamo “Luce, solo luce, che
fa di qualsiasi cosa sotto di sé un mondo giocattolo” e possiamo dirci,
soddisfatti, “Molto bene, gli occhiali li
faremo così”
Per chi volesse rileggerla, questa bellissima poesia (da Antologia di Spoon River, di E.L.
Masters)
Adesso che cosa
vedi?/Globi rossi, gialli, viola./Un momento! E adesso?/Mio padre e mia madre e
le mie sorelle./Bene! E adesso?/Cavalieri in armi, donne bellissime, volti
gentili./Prova questa./Un campo di grano,una città./Molto bene! E adesso?/Una
giovane donna con angeli che si chinano su di lei./Una lente più forte! E
adesso?/Molte donne con occhi luccicanti e labbra socchiuse./Prova questa./Solo
un bicchiere sul tavolo./Ah, capisco. Prova questa lente!/Solo uno spazio
aperto, non vedo niente di particolare./Bene, adesso?/Pini, un lago, un cielo
estivo./E’ già meglio. E adesso?/Un libro./Leggimi una pagina./Non posso. I
miei occhi vanno oltre la pagina./Prova questa lente./Abissi di aria./Eccellente!
E adesso?/Luce, solo luce, che fa di qualsiasi cosa sotto di sé un mondo
giocattolo./Molto bene, gli occhiali li faremo così.
Roma, 2 Ottobre 2012, Festa
degli Angeli Custodi
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