Letture
(di Felice Celato)
Un ottimo articolo sul Corriere della sera di oggi (di Alberto Serravalle, avvocato e professore di Diritto dell’Unione Europea : La maggioranza silenziosa comincia a farsi sentire) attribuisce un valore segnaletico alla manifestazione pro-Tav di cui abbiamo parlato nell’ultimo post (I “signori sul ponte” /3). Non è il caso di tornarci sopra; e forse, a mio giudizio e purtroppo, non è nemmeno il caso di sopravvalutare tale valore segnaletico.
Nel testo dell’articolo, però, è citato un bellissimo libro (di Eric Vuilllard : L’ordine del giorno, edizioni e/o, 2018, Prix Goncourt 2017) che ho letto qualche settimana fa e che, fino ad oggi, non ho qui segnalato per evitare possibili fraintendimenti sulle riflessioni che mi ha suscitato; vengo a parlarne oggi perché, evidentemente, anche l’occasionale articolista del Corriere deve avervi intravisto un monito che vale la pena di riprendere, nel solco di queste nostre piccolissime esplorazioni della…residua vitalità delle classi sociali presunte depositarie di ingenti porzioni del capitale umano Italiano.
La storia che è raccontata nel libro (in questo caso non una storia di pura fantasia ma – si direbbe oggi – una docu-fiction letteraria) prende le mosse da una riunione segreta del 20 febbraio 1933, quando (alla vigilia delle elezioni che attribuirono la maggioranza al Partito Nazionalsocialista Tedesco) ventiquattro esponenti dell’alta borghesia industriale della Germania vennero convocati da Göring per una raccolta di fondi a sostegno della campagna elettorale di Hitler. “Per quanto un po' impertinente, l’invito non era certo una novità per quegli uomini. La riunione…nella quale si potrebbe vedere un momento unico della storia padronale, un compromesso inaudito con i nazisti, per i Krupp, gli Opel e i Siemens è solo un episodio abbastanza ordinario della vita affaristica, una banale raccolta di fondi…. Erano abituati a tangenti e bustarelle; e così la maggior parte dei convenuti versò, chi qualche centinaio di migliaia di marchi, chi addirittura un milione e in questo modo venne messo insieme un bel gruzzoletto… I ventiquattro individui presenti nel palazzo del Reichstag quel 20 febbraio [l’incendio del palazzo “occorse” solo sette giorni dopo] non sono altro che….il clero della grande industria. Sono i sacerdoti di Ptah. E sono lì impassibili come ventiquattro macchine calcolatrici, alle porte dell’inferno.
Il seguito è fin troppo noto perché valga la pena di riassumerlo; e, del resto, la storia raccontata da Vuillard parla dell’ Anschluss e finisce nella primavera del 1944.
Per nostra fortuna – lo scrive ben chiaro anche Serravalle – la situazione del nostro paese è ben lungi dall’essere quella Tedesca degli anni ‘30-‘40 del secolo scorso. E tuttavia la storia raccontata nel libro ha un che di emblematico riferito al nostro presente: le [nostre] politiche economiche – scrive duramente Serravalle – potrebbero causare una grave crisi che potrebbe mettere in ginocchio il Paese, isolandolo dai nostri partner europei, e tutto ciò potrebbe a sua volta scatenare reazioni e processi politici non più in linea con la nostra tradizione dello Stato di diritto; una compiuta valutazione di tali rischi, proprio da parte di coloro che (anche senza essere l’alta borghesia industriale del Paese) hanno la fortuna (e spesso anche il merito) di detenere gran parte del capitale umano nazionale, non è compatibile con ulteriori silenzi. Per tornare alla nostra immagine della barca senza vènti a favore (cfr. I “signori sul ponte” / 1, del 26 ottobre u.s.), non stupisce che le larghe sacche di persone che, della barca comune, conoscono solo la stiva, il buio interno della carena, possano non percepire l’assenza di una rotta chiara e la conseguente futilità di ogni vento. Le classi sociali che, alla fine, quando le vele non si gonfiano, saranno chiamate a spezzarsi la schiena per remare, non possono che ascoltare con speranza le notizie che vengono giù dal boccaporto, se sono notizie di sollievo alla loro fatica; quand’anche ingannati, non possono che essere pienamente compresi. Ma ai “signori sul ponte”, che vedono la rotta e percepiscono il vento, non è consentito invocare una carenza di rappresentanza: se non si riconoscono nella rotta intrapresa, hanno il dovere di dirlo, chiaro e forte, senza isterismi ma anche senza ritegni; il fatalismo dell’alta borghesia industriale tedesca (di cui racconta Vuillard) non rientra nelle opzioni a loro disposizione: se per quelli confinati nella stiva una rotta erratica può – purtroppo – significare un doloroso supplemento di fatica, per i “signori sul ponte” è certo che tornare in carena e rimettersi ai remi sarà assai più duro.
Roma 17 novembre 2018.