giovedì 14 maggio 2015

Discorsi difficili

I diritti hanno un costo?
(di Felice Celato)
Mi ha colpito molto una domanda che pone, sul Corriere di ieri, l’ editorialista del Corriere della sera Luigi Ferrarella, una domanda che, nota l’autore, “fino a pochi anni fa…sarebbe suonata bestemmia”: Quanti diritti ci possiamo permettere? (l’articolo si riferisce alle attuali discussioni sulla recente sentenza della Corte Costituzionale in materia di deindicizzazione selettiva delle pensioni).
In realtà il senso della domanda può forse essere esteso fino ad interrogarci su un punto: quante volte pensiamo ai diritti interrogandoci sul loro costo? Ci è facile, forse, immaginare, almeno approssimativamente, quanto costa, per esempio, il diritto allo studio (art. 34 della Costituzione) o il cd diritto alla salute (art. 32 Cost.), forse perché a tali diritti corrisponde lato sensu una controprestazione (diciamo dello Stato). Si penserà, per esempio, che il diritto allo studio costi quanto costa il sostegno delle scuole o che il cd diritto alla salute costi quanto costa il sistema sanitario nazionale; sarebbero punti di riferimento imperfetti, approssimati, certamente per difetto; ma pur sempre dei punti di riferimento.
Ma quanto costa il diritto all’eguaglianza (art. 3  Cost.) o il diritto d’opinione (art 21) o il diritto alla libertà religiosa (art. 8), diritti tutti senza evidente controprestazione?
Non credo che in materia  sia facile arrivare ad avere dei pur vaghi punti di riferimento; e comunque credo che ben pochi di noi ci abbiano mai pensato, e io stesso, che pure ho fatto studi giuridici e mi sono occupato sempre di rapporti economici, devo ammettere di non averci mai pensato.
Eppure il problema forse esiste, per quanto ci possa sembrare sgradevole accostare diritti così fondamentali (ai quali, beninteso, da liberale impenitente, sono estremamente affezionato) ad un concetto così “spregiato” (dai tanti “puri” che affollano il paese) come quello di costo.
Ma la sopra accennata sentenza della Corte Costituzionale – di cui non voglio qui specificamente occuparmi – pone proprio, nel suo fondo, questo problema, aggravato dalle attuali contingenze finanziarie che ci sono ben note. Quanto ci costa preservare sempre (starei per dire: a tutti i costi) il diritto all’eguaglianza? I giuristi – e io non sono fra questi – affronterebbero il problema dal punto di vista qualitativo parlando di “contemperamento dei diritti” e di “equo bilanciamento” delle loro tutele; perché forse sarebbe proprio giusto eluderlo, il problema, dal punto di vista quantitativo; perché forse non ha proprio senso affrontarlo così. [Cercherò comunque di documentarmi al riguardo.]
Tuttavia la brutale domanda di Ferrarella, secondo me una serie di utili messaggi pedagogici, intanto, la contiene: cioè, che vivere in un sistema democratico e liberale ha anche un suo “costo implicito” per la collettività, costo che, non occorre ribadirlo, magari siamo felicissimi di sopportare, anche senza saperlo; che i principi – se non si vuole restare nell’astratto – devono essere sostenuti da un investimento, anche a lento, lentissimo ritorno, ma pur sempre un investimento; e che dovremmo esserne sempre consci, anche quando le conseguenze della loro tutela, nel breve, ci sembrano pesanti; ma che, (forse) infine, anche il contemperamento dei diritti è un esercizio di ragione (del quale non occorre scandalizzarsi).

Roma, 14 maggio 2015 

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