I diritti hanno un costo?
(di
Felice Celato)
Mi
ha colpito molto una domanda che pone, sul Corriere di ieri, l’ editorialista
del Corriere della sera Luigi
Ferrarella, una domanda che, nota l’autore, “fino a pochi anni fa…sarebbe suonata bestemmia”: Quanti diritti ci possiamo permettere?
(l’articolo si riferisce alle attuali discussioni sulla recente sentenza della
Corte Costituzionale in materia di deindicizzazione selettiva delle pensioni).
In
realtà il senso della domanda può forse essere esteso fino ad interrogarci su
un punto: quante volte pensiamo ai diritti interrogandoci sul loro costo? Ci è
facile, forse, immaginare, almeno approssimativamente, quanto costa, per
esempio, il diritto allo studio (art. 34 della Costituzione) o il cd diritto
alla salute (art. 32 Cost.), forse perché a tali diritti corrisponde lato sensu una controprestazione (diciamo dello Stato). Si
penserà, per esempio, che il diritto allo studio costi quanto costa il sostegno
delle scuole o che il cd diritto alla salute costi quanto costa il sistema
sanitario nazionale; sarebbero punti di riferimento imperfetti, approssimati,
certamente per difetto; ma pur sempre dei punti di riferimento.
Ma
quanto costa il diritto all’eguaglianza (art. 3
Cost.) o il diritto d’opinione (art 21) o il diritto alla libertà
religiosa (art. 8), diritti tutti senza evidente controprestazione?
Non
credo che in materia sia facile arrivare
ad avere dei pur vaghi punti di riferimento; e comunque credo che ben pochi di
noi ci abbiano mai pensato, e io stesso, che pure ho fatto studi giuridici e mi
sono occupato sempre di rapporti economici, devo ammettere di non averci mai
pensato.
Eppure
il problema forse esiste, per quanto ci possa sembrare sgradevole accostare
diritti così fondamentali (ai quali, beninteso, da liberale impenitente, sono
estremamente affezionato) ad un concetto così “spregiato” (dai tanti “puri” che
affollano il paese) come quello di costo.
Ma
la sopra accennata sentenza della Corte Costituzionale – di cui non voglio qui specificamente
occuparmi – pone proprio, nel suo fondo, questo problema, aggravato dalle
attuali contingenze finanziarie che ci sono ben note. Quanto ci costa
preservare sempre (starei per dire: a tutti i costi) il diritto
all’eguaglianza? I giuristi – e io non sono fra questi – affronterebbero il
problema dal punto di vista qualitativo parlando di “contemperamento dei
diritti” e di “equo bilanciamento” delle loro tutele; perché forse sarebbe proprio
giusto eluderlo, il problema, dal punto di vista quantitativo; perché forse non
ha proprio senso affrontarlo così. [Cercherò comunque di documentarmi al
riguardo.]
Tuttavia
la brutale domanda di Ferrarella, secondo me una serie di utili messaggi
pedagogici, intanto, la contiene: cioè, che vivere in un sistema democratico e
liberale ha anche un suo “costo implicito” per la collettività, costo che, non
occorre ribadirlo, magari siamo felicissimi di sopportare, anche senza saperlo;
che i principi – se non si vuole restare nell’astratto – devono essere
sostenuti da un investimento, anche a lento, lentissimo ritorno, ma pur sempre un
investimento; e che dovremmo esserne sempre consci, anche quando le conseguenze della loro tutela,
nel breve, ci sembrano pesanti; ma che, (forse) infine, anche il
contemperamento dei diritti è un esercizio di ragione (del quale non occorre
scandalizzarsi).
Roma,
14 maggio 2015
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