I funerali di
Priebke
(di Felice Celato)
Credo
che nessuno che mi conosca possa negare la mia vicinanza, la mia stima, la mia
ammirazione per la cultura e la spiritualità ebraica alle quali ho dedicato, da
molti anni, lunghe letture, passione intellettuale e vero affetto.
Figuriamoci
dunque se si possa immaginare un mio “cedimento” sulla condanna di uno
qualsiasi dei tanti, ingiusti e atroci dolori cagionati a questo popolo e a
questa “stirpe” di nostri padri nella fede e nella nostra cultura!
Dunque
non ho dubbi – e come si potrebbe altrimenti? – sulla natura criminale degli
atti esecrandi compiuti, proprio nella nostra città, da Priebke, 70 anni fa,
ferma restando la necessità di guardare a queste terribili colpe alla luce di
considerazioni che abbiamo svolto altre volte sul tema della “banalità del
male” (vedansi i post su Ecologia
della convivenza/2 e /3, rispettivamente del 5 aprile e del 20 agosto 2012).
Bene,
sgombrato il campo da questo impossibile dubbio, eccomi ora a discutere, da
cattolico (guelfo e clericale, se volete, ma non chierichetto!) sugli strani
ondeggiamenti pubblici che leggo sui giornali (da prendere quindi, come al
solito, col beneficio di inventario!) da parte del Vicariato di Roma (appoggiato,
incredibilmente, pare, dal teologo Bruno Forte, che ho sempre letto con
ammirazione) sulle esequie religiose di Priebke.
Esecrando
criminale, pentito o non pentito (non giudicherei dalle “dichiarazioni”
pubbliche di un centenario!), Priebke, che – dice il suo avvocato (sul Corriere di oggi) – “era un fedele della
Chiesa, si confessava e ha anche ricevuto l’assoluzione”, va accompagnato al
giudizio di Dio con gli stessi riti che “spettano” ad ogni uomo che si creda, si
dichiari e si senta fedele, anche in limine mortis; nel silenzio, nella discrezione, nella riservatezza
anche, che si ritengano necessarie per evitare becere manifestazioni di
contrapposta emotività, ma non vedo ragione per non farlo, quand’anche questo
dovere possa spiacere “alla pubblica opinione”.
E va
seppellito, dove, per le stesse ragioni, si ritenga più opportuno, ma come ogni
altro peccatore.
Su
tutti i morti si stende il silenzioso rispetto che si deve al giudizio
misericordioso di Dio padre, che, attraverso Suo figlio, ha preso su di sé,
tutti i peccati del mondo.
Non
vedo alternative praticabili in coscienza e nella fiducia nella misericordia di
Dio (alla quale nulla è impossibile), né per Priebke, né per i mafiosi, né per
i suicidi.
Le
forme sono un altro problema.
Roma13
ottobre 2013
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