Dépaysement
(di Felice Celato)
In questo periodo di – lo confesso con un eufemismo – intenso disagio
civico, ho avuto una divertente polemica a colpi di mail con un mio amico e coetaneo che si fa venire l’orticaria non
appena gli si ricorda….la piena maturità della nostra età (scrivo così per non
evocare la vecchiezza che tanto lo agita). In realtà il fatto di “sentirsi
vecchio” (come mi accade, nel senso quasi orgoglioso che dirò) non mette in
questione nessun (residuo) senso di vigoria, né fisica né, tantomeno,
intellettuale.
Semplicemente mi fa sentire dépaysé (spaesato, come direbbe Todorov) per
una sorta di transculturazione incompiuta: non apparteniamo più, noi della
nostra età, caro amico dalla vitalità sempre adolescente, al mondo in cui siamo
cresciuti, semplicemente perché questo mondo forse non c’è più; e, nel contempo,
non ci siamo radicati con soddisfazione nel mondo degli “informatissimi idioti” (l’espressione non è mia ma del sociologo
Franco Ferrarotti, su First-on-line
dell’11 marzo) che sanno reagire con tanta prontezza di fronte ad ogni scelta
(purché abbia solo due soluzioni, una da scegliere col pollice in alto, l’altra
col pollice verso).
Ma - diciamolo subito per non provocarci allergie – di questo dépaysement siamo tutto sommato
gigionescamente contenti, perché riteniamo di essere almeno approdati su un
basso colle dal quale si può assistere, “divertiti” e sgomenti, agli esiti del
presente. Non che nessuno di noi goda ad immaginare come può andare a finire
questo mondo che si vuole giudicare e governare sulla Rete, per natura etica ed informata, depositaria di una democrazia istantanea, elettronicamente
pronta ad un plebiscitarismo emotivo
e refrattario ad ogni discussione,
abituato all’altrui stigmatizzazione
compulsiva, gestore di un tribunale
del popolo che non conosce riposo, moderno sicofante distruttivo e perentorio [NB : anche queste espressioni
non sono mie; le ho prese quasi testualmente dal libro di Marco Revelli: Finale di partito (Einaudi), libro non
sempre facile ma molto interessante]: in questo mondo ci sono pure i nostri
figli (e i nostri nipoti) e certamente non vorremmo nemmeno pensare ad uno
scenario per loro pernicioso. Ma, semplicemente, fa compagnia alla nostra
dolente impotenza un senso compiaciuto di certezza sull’esito del nostro
disagio: qualcosa deve pur venir fuori che arresti il corso che abbiamo preso
(perché in fondo la storia non finisce, con buona pace di Fukuyama; e – per chi crede – c’è
Qualcuno che magari ogni tanto, stanco di lascarci fare da soli, dà uno sguardo
e una calmata al lago su cui va la sua barca); magari non saremo noi, appunto
vecchi depaysés, a tirar fuori questo
nuovo e saranno proprio i nostri baldi giovani a tirarlo fuori dal pozzo in cui
si è nascosto; ma è certo che le strade finora intraprese, da sole, non portano
bene.
E’ una vergognosa vecchiezza questa che mi porta fin qui, su questo basso
colle? O solo una saggia presa di disparte, che peraltro, come si vede da
questo luogo di incontro, non si nega né agli interrogativi né al dibattito?
Roma, 12 marzo 2013 (giorno della Missa pro eligendo pontifice)
Nessun commento:
Posta un commento