Il marito dell’”adultera”
(di Felice Celato)
Fra
i tanti spunti di riflessione che offre ogni domenica l’omelia di padre Ottavio
De Bertolis SJ (al Gesù, alle 10), da quella di oggi vorrei riprenderne, con considerazioni in gran parte mie (non è certo questo il luogo per riassumere l’omelia e, del
resto, io non ne sarei nemmeno in grado senza amputarne il senso, spesso
straordinariamente denso!), uno che mi ha particolarmente colpito per
l’originalità dell’angolo di visuale. Tante volte abbiamo ascoltato la
bellissima pericope del Vangelo che narra dell’adultera perdonata da Gesù (Gv 8, 1-11), ma a
me non era mai capitato di riflettere su un personaggio che non compare nel
brano ma che, in un certo senso, ne costituisce il presupposto: il marito
dell’adultera, cioè colui che il comportamento della donna ha direttamente
offeso. Forse era fra i lapidatori; non lo sappiamo, il Vangelo non lo dice; ma
se era fra questi, era anche fra coloro che, ad uno ad uno, “cominciando dai più anziani”, si sono
allontanati, lasciando cadere le pietre che recavano in mano, dopo la
“provocazione” di Gesù (“Chi di voi è
senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”); molto
probabilmente non c’era, era rimasto magari a casa, chiuso nel dolore del
tradimento, attendendo che “la giustizia” (in fondo “Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa”)
“facesse il suo corso”.
Sia
la giustizia della Legge che i lapidatori volevano amministrare, sia quella
della misericordia che Gesù amministra, sembrano dunque prescindere dalla
posizione del danneggiato, significando che l’esigenza di giustizia (o di
misericordia) ha una ragione in sé, diversa da quella dell’offeso, perché il
giusto “compenso” dell’offesa non sta in una nuova e maggiore offesa (la
lapidazione, appunto) ma nel semplice “ristabilimento” dell’ordine negato dal
comportamento del peccatore-reo; ristabilimento che, nell’insegnamento di Gesù,
avviene nel segno, appunto, della misericordia, paternamente cosciente
dell’umana condizione di fragilità.
Probabilmente,
il male (ogni male, in quanto “compiuto”) ha una sua maggiore o minore
oggettiva irreparabilità, che sotto un certo profilo rende “vana” la Legge;
solo la misericordia ha il potere, non di ripararlo, ma di cancellarlo, il male
compiuto, anzi costruendoci sopra un maggior bene. Ecco perché la misericordia
è una virtù costruttiva, ecco perché Dio, infaticabile costruttore, “non si stanca
mai – come ha detto oggi Papa Francesco – di essere misericordioso”.
In
questo tempo in cui tutti avvertiamo tanto bisogno di ricostruzione, abbiamo,
in fondo, prima di tutto tanto bisogno di misericordia.
Il
padre De Bertolis, dopo avere ricordato papa Benedetto (che, per la sua Chiesa,
ha scelto la preghiera rispetto all’esercizio del potere) e pregato per la
nuova via di papa Francesco, ha concluso la sua omelia citando il profeta
Isaia: “Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?”
Roma
17 marzo 2013, a pochi giorni dalla primavera.
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