Un libro terribile
(di
Felice Celato)
Mi
rendo conto che in questo periodo sto sommergendo di segnalazioni letterarie i
miei amici; ma è anche vero che si tratta, per me, di un periodo nel quale
preferisco immergermi nei buoni libri del passato (o sul passato) anziché
seguire questo confuso, pericoloso e sconsolante presente (del quale, invece,
si occupano con molta e immeritata passione altri miei più pazienti amici); ed
inoltre, questo libro di cui voglio parlarvi, è proprio veramente memorabile.
Si
tratta di un “libro” di sole 30 pagine (l’edizione che ho letto ne reca poi
altre 50-60 dedicate alla vita dell’autore e alla complessa vicenda della
composizione di quelle 30); il titolo: Yossl
Rakover si rivolge a Dio. L’autore: Zvi Kolitz, un ebreo Lituano che ha poi
vissuto in Israele e negli USA. L’editore: Adelphi. Però queste 30 pagine
costituiscono, secondo me, un vero e proprio nuovo salmo, straordinariamente
intenso e commovente.
La
storia è semplicissima: un ebreo che sta per cadere come uno degli ultimi eroi
del ghetto di Varsavia, scrive, il 28 aprile del ’43, prima di morire bruciato
nei roghi della follia umana, una lettera-testamento che nasconde in una
bottiglia; e, in questa lettera, novello Giobbe, si rivolge a Dio con un amore,
una fede e una violenza che francamente non possono che lasciare profondamente sconvolti:
“Hai fatto di tutto perché non avessi
fiducia in Te, perché io non credessi più in Te, io invece muoio così come sono
sempre vissuto, pervaso da un’incrollabile fede in Te”, sono le ultime
parole di questo grido irragionevole ed umanissimo al tempo stesso, prima della recita dello
Shema Israel. “Ti avverto, Dio mio e dei
miei padri, che non Ti servirà a nulla….[perché io] sempre ti amerò, sempre,
sfidando la Tua stessa volontà!”.
E
prima: “Ti voglio chiedere, Dio, e questa
domanda brucia dentro di me come un fuoco divorante: che cosa ancora, sì, che
cosa ancora deve accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo?”,
chiede, aspro, a Dio l’uomo di fede Yossl Rakover nell’inferno di Varsavia,
quando la storia del popolo ebraico visse la sua propria passione; come “Elì,Elì, lemà sabactàni?” aveva gridato
quasi duemila anni prima il Cristo sulla Croce, “assume[ndo] così in sé tutto il tormento non solo di Israele, ma di
tutti gli uomini che soffrono in questo mondo per il nascondimento di Dio”(J.
Ratzinger, Gesù di Nazareth, Seconda
parte, LEV, pg 239).
In
esergo al testo è riportata una frase ritrovata sui muri di una cantina di
Colonia dove si nascosero alcuni ebrei per tutta la durata della guerra: “Credo nel sole, anche quando non splende; credo
nell’amore, anche quando non lo sento; credo in Dio, anche quando tace”.
Il
silenzio di Dio di fronte al male, e al male estremo e bestiale, ed il dolore
dell’uomo di fede per questo silenzio, costituiscono per me il tema più
difficile della fede e della speranza. E ormai l’unico tema che sempre mi
commuove; questo libro ne coglie l’essenza con una intensità disperata, in una
dimensione umanissima che non dispone di nessuna theologia Crucis per continuare a credere eppure rimane
drammaticamente fedele.
Sono
sicuro che nell’”abissale oggi della
sofferenza” (Ratzinger, ibidem,
pg 241), ciascuno di noi, per quanto lontani siano – per nostra fortuna – gli
scenari tragici di questo piccolo libro, ha avuto i suoi momenti di buio nei
quali ha mormorato una protesta dolorosa.
Roma
7 febbraio 2013
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