mercoledì 20 febbraio 2013

In limine suffragii


Timori e speranza
(di Felice Celato)
Confesso cha arrivo a queste elezioni con la mente fortemente impregnata di sensazioni complesse, non tutte facili da spiegare.
Le “dimissioni” di questo grande papa, fragile e forte profeta, umilissimo e saldo nella mente e nell’amore per la Chiesa, si sono connotate di un significato epocale (“ la fine del vecchio e l’inizio del nuovo”) che sta influenzando con speranze e trepidazioni le mie riflessioni di cattolico “devoto” e, nello stesso tempo, purtroppo, con scorate aspettative quelle di cittadino depresso.
Così mi viene molto difficile tornare a ragionare (in limine suffragii) del nostro presente e del nostro probabile futuro politico senza porre a raffronto questo straordinario passaggio della storia che ci offre la Chiesa con il rumoroso e convulso avvicinarsi del “giudizio del popolo” su cosa volere per noi e per l’Italia.
E mentre nella vicenda ecclesiale vedo delinearsi una formidabile istanza  di cambiamento (di conversione, mi verrebbe da dire) che forse non andrà delusa, in quella politica mi pare di percepire l’aria viziata della grande occasione sprecata, dopo che lo scuotimento impresso dalla crisi economica, finanziaria e morale del Paese mi pareva potesse fondare la speranza di una palingenesi politica che invece sta grossolanamente dissipandosi.
Molte volte mi sono domandato quanto sia lecito ad un credente guardare alle vicende di questo mondo e ai loro “passaggi” esistenziali utilizzando la categoria teologale della speranza, la virtù difficile ed ambigua (cfr post del 21 settembre 2011 ”Divagazioni sulla speranza”) che pure sempre ci tenta, anche nelle cose più “mondane”, quasi come una naturale compagna di vita; e molte volte ho trovato risposte diverse, talora dolenti (“E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte. Tu non hai esaudito la nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro”, diceva accorato Paolo VI nella basilica di san Giovanni), talora confortate da alcuni fra i passi più suggestivi del Vangelo (“Ecco, Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”, l’ultimo versetto del vangelo di Matteo) o dalle storie di uomini che sono stati esauditi quando si sono trovati a pregare nei momenti più difficili del loro Paese (o della loro vita)
Anche qui Benedetto XVI, in fondo, ci ha dato una lezione straordinaria: l’uso della ragione, anche in contrasto con le più consolidate tradizioni di abbandono al giudizio e all’opera alla Provvidenza, è un dovere forte che non può essere eluso anche dall’uomo dalla fede più vigorosa e raffinata. Ad esso, quindi, attingiamo anche nell’accingerci al voto che pure – forse esageratamente – temiamo per come ad esso ci siamo preparati e per esso dilaniati.
Non mancherà, fra gli amici che leggono queste note, chi troverà questo mio atteggiamento verso il passaggio del 24 e 25 febbraio esasperato e quindi inappropriatamente drammatizzato; perciò – come spesso mi accade di dover fare – spero vivamente di sbagliare; eppure mi pare di avere chiaro uno scenario gravido di rischi che non esito a ritenere  decisivo per il nostro futuro.
Che cosa è successo – ed io non me ne sono accorto – in questi due mesi di campagna elettorale “ufficiale” perché si possa dire che tutto ciò che ci aveva terrorizzato nel 2012 si sia dissolto? Nulla, anzi si è drammaticamente accentuata la faglia che allontana le nostre illusioni dalla realtà, le favole dalla verità, le soluzioni semplici dai problemi complessi, i rancori dalla ricostituzione del nostro tessuto civile. Si potrà dire: era infondato l’allarme. Vedremo, io penso di no.
Ecco perché, di fronte all’irrazionalità emotiva che pare pervadere il paese, mi sorge spontanea una percezione “epocale” del periodo che viviamo anche come collettività. Non ero nato, il 2 giugno del ’46, quando i nostri padri scelsero la repubblica, né il 18 aprile del ‘48 quando scelsero per l’occidente. Ma ho la sensazione, magari esagerata, che il prossimo passaggio elettorale abbia la stessa valenza, lo stesso decisivo significato sul futuro. Come dicevamo l’anno scorso, l’Italia non sarà più la stessa dopo la vicenda di questa crisi.
Per questo, sull’esempio infinitamente più grande di Benedetto XVI, nel mio piccolo cercherò di votare guidato dalla ragione (àncora forte nel mare delle parole) e, poi, aspetterò con fiducia che la mano del Signore, Dio della Storia,  additi una strada a “questo popolo dalla dura cervice”.
Roma, 20 febbraio 2013

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