mercoledì 23 gennaio 2013

Thè e pasticcini


Pensieri cupi
(di Felice Celato)
Fra i miei amici più cari, ce n’è uno (anche antico) col quale mi trovo in piena consonanza, sempre, direi, ma soprattutto quando c’è da pensare male del nostro futuro. E’ bastato un thè insieme per far coagulare una serie di non nuove percezioni che ci inducono, tutte insieme, a veder nero.
Che la campagna elettorale sia quasi sempre una Hobbesiana occasione di “bellum omnium contra omnes” (guerra di tutti contro tutti) non è certo una novità; pur avendo scelto, per un certo qual rispetto della auspicata decenza del luogo, di non occuparcene in questa sede (salvo che per qualche spigolatura da Stupi-diario), non posso però astenermi dal notare come gli umori che suscita abbiano un sentore solfureo, che ben si associa al diffuso sentimento collettivo che traspare ogni volta che si ascoltano, in radio o in televisione, opinioni diffuse e commenti mediatici.
L’Italia – convenivo col mio amico – è ormai  diventata una bolgia di asti, di rancori sordi e ciechi ma furiosi, un luogo di profonda dis-cordia e di radicale disprezzo reciproco, dove la ragione e il pensiero competente non trovano ascolto alcuno né dialogo in cui dispiegarsi, travolti dall’urgenza di opinionismi dissennati e distruttivi, commerciati da media irresponsabili, che, celati dietro l’apparente usbergo della cronaca o del “documento-verità”, fanno strame di ogni ruolo di critica guida dell’opinione pubblica, dando voce a borborigmi osceni purché carichi di effetto. Diceva il mio amico che i mostri che andiamo creando (anche in politica) sono i figli di questo modo di comunicare  (ed io che questo modo di comunicare è forse il figlio di quello che siamo diventati); ed insieme, dicevamo che esistono pure (come è ovvio) delle lodevoli eccezioni, che si contano magari sulle dita di una mano fra l’affollato protendersi di mani volte in alto per deprecare.
Ora, in questa temperie, gli Italiani andranno a votare, forse più che per qualcuno contro qualcuno.
Ma dopo? Quando l’ordalia elettorale si sarà consumata, non si sarà forse anche ulteriormente consumato il senso di una (già compromessa) convivenza civile? Non si saranno forse anche vaporizzate, nei sogni degli imbonitori, un po’ delle residue energie necessarie per affrontare i problemi che abbiamo e che ben volentieri dimentichiamo?
Il panorama del Paese è cupo, l’Europa appare fragile, la ripresa difficile e lenta, quella svalutazione interna che è il succedaneo delle vecchie svalutazioni monetarie nessuno vuole considerarla (si veda l’articolo di Fubini sul Corriere del 18 gennaio) e nemmeno capirla, la situazione del Sud è drammatica, quella istituzionale veramente preoccupante (persino i magistrati si ribellano alla legge, vedasi il caso Taranto), la burocrazia soffocante ed autoreferenziale, la classe dirigente che si appresta a vincere le elezioni ricca di apparatchik, le aree di povertà crescono, le risorse sono estenuate, le riforme vere – quelle che incidono sulla spesa e sul respiro economico del Paese –  sono difficili da digerire.
Tutti gridano, tutti additano “clamorose” colpe degli “altri” senza riconoscere le proprie, nelle quali ci si incista attribuendosi ridicole corone del giusto. Ogni possibile pensiero collettivo si sfarina in un dilagato danno antropologico. Il cumulo dei problemi sembra soverchiare largamente la nostra capacità di risolverli (come, col mio amico, un tempo dicevamo di una certa situazione che abbiamo vissuto insieme).
Così pensavamo, domenica scorsa…. mentre mettevamo in bocca i delicati pasticcini che contornavano il thè.
A distanza di qualche giorno dal piacevole incontro rigenerante, mi viene un ulteriore pensiero dedicato alla nostra povera Italia: i pasticcini stanno per finire.
Roma 23 gennaio 2013

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