Italiani, siate seri!
(di Felice Celato)
Abbiamo
già ricordato (post del 10 luglio
u.s.) questo memorabile discorso in tre parole rivolto da Garibaldi ad una
torma di romani sgangheratamente plaudente.
Guardando
al numero delle liste depositate in vista delle elezioni (215!) verrebbe voglia
- disperatamente - di rinnovare l’invito agli Italiani di oggi: il range delle "proposte" è
vasto, da "Forza Roma" a "Forza Lazio", a "No Chiusura
Ospedali" a "Liberi da Equitalia", etc..
Che dire?
La
cosiddetta società civile, se di questo si tratta, sembra per lo più aggregarsi
o in esperimenti di pedagogia politica (votati magari a successi limitati,
perché “la politica è un’altra cosa”) o in maniera ancillare nei residui
partiti di una qualche consistenza, per ivi fungere da foglia di fico degli
apparati (ne scrive con lucido disincanto Galli della Loggia sul Corriere della
sera di oggi) o - e questo è il caso delle 215 liste - in maniera caotico-provocatoria,
rivelando forse più un intento ludico-istituzionale che non un'autentica
pulsione civica.
E
questo può anche essere il frutto di un’indomita tendenza al guizzo d'effetto,
alla smodata inopportunità, al lazzo rumoroso e beffardo (l’Italicum acetum) anche nelle cose più
serie; ma può ben anche essere il frutto di una grave insufficienza
etico-culturale del Paese, dove purtroppo - come nota, lapidario, sempre Galli
della Loggia – “qualunque idiozia, purché
di moda, può contare su adesioni quasi unanimi".
E'
vero, come scrivevano gli antichi latini, che "satura tota nostra est", alludendo alle origini latine della
satira come genere letterario; ma, come pure dimostrano le troppe trasmissioni
televisive e radiofoniche di sgangherata comicità finto- satirica, anche qui
siamo capaci di esagerare: e non è solo problema di linguaggio, che pure
esiste; ma anche e soprattutto un problema di ambiti e di tempi: così “fa
successo” la gag televisiva di un ex
Presidente del Consiglio che pulisce vistosamente la sedia su cui sedeva un suo
contraddittore (sicuramente eccessivo anche lui), quasi come se non sia in
discussione, in questo momento, il futuro di un intero Paese ma il ruolo di
primattore in una compagnia di giro; e, invece, nessuno si interroga come sia
possibile immaginare un futuro per una regione dell’Europa che spende per
interessi più di quanto spende per l’istruzione dei suoi giovani.
Riconosciamolo:
la misura non ci è propria (nemmeno quando proprio dovremmo e, come direbbe
Primo Levi, se non dovremmo ora, quando?); e forse non ci è proprio, da qualche
tempo, nemmeno il senso della realtà.
Roma,14
gennaio 2013
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