Passaggio dell’anno
(di Felice Celato)
Si
chiude l’anno 2012, certo non un bell’anno (“anno bisesto….”) e comincia il
2013 che speriamo – è d’obbligo – sia migliore per tutti, e, in astratto, non
dovrebbe essere difficile!
Siamo
tuttavia, come “comunità nazionale”, alla disperata ricerca di una chiave per
uscire, come direbbe Borges, “dai tardi
labirinti della mente”, forse senza aver “appreso la veglia” nei tanti anni di sonno delle nostre coscienze
civiche durante i quali non abbiamo capito o voluto capire le fragilità del
sistema economico, politico e valoriale che andavamo tessendo e gli inganni
delle autorappresentazioni che hanno progressivamente sfarinato la nostra
società e messo a nudo la natura sociologica della nostra crisi, giunta fino al
confine dell’ (irreparabile) “danno
antropologico”.
Forse,
come dice De Rita, ci resta, acuita dall’istinto di sopravvivenza, una sorgente
percezione di “quanto sia essenziale nei
pericoli difendere, riprendere, valorizzare ciò che resta di funzionante dei
precedenti processi di sviluppo” e di “ciò
che non abbiamo fatto e resta da fare”.
Ma
questa duplice “restanza” (vedasi post del 9 12 12, Speranza e restanza) potrebbe non bastare, da sola, per farci uscire,
rinnovati e saldi, da questo passaggio “civile” che ci aspetta nel giro ormai
di poche settimane, quando il “bivio”, che avvertivamo sopraggiungere già nella
primavera scorsa (post del 13 3 12, Lo spirito del bivio), sarà divenuto
ineludibile e vedremo finalmente cosa pensa di sé e per sé cosa vuole questo
Paese: populismi ed ideologie e altre favole e nuove illusioni per un breve
tratto; o vera coscienza dei problemi e volontà di affrontarli con determinazione serena e vigoroso
senso della realtà, “stamina” che
certamente sono alla nostra portata; ma che esigono, l’ho detto altre volte (post del 26 8 12, Parole-guida), il riuso cosciente di parole obsolete (verità,
perdono e fatica) delle quali vedo solo sillabe incomplete.
Purtroppo
però “il bivio” lacera dall’interno anche le nostre “forze” politiche migliori,
almeno per come ora si stanno schierando, facendole oscillare fra esigenze
elettoralistiche e animose memorie del passato, da un lato, e conclusiva e
coraggiosa ansia di vero rinnovamento nella continuità delle opzioni fondamentali,
dall’altro.
E, ancora
purtroppo, “il bivio” passa anche all’interno della nostra “città” e della sua
usurata classe dirigente, forse anche fra noi: e questo, se possibile, è ancora
più preoccupante, perché rischia di impedire la maturazione di un affidabile pensiero collettivo che, pur nelle
naturali differenziazioni politiche, dovrebbe costituire un perimetro comune entro
cui delimitare una dialettica democratica moderna: dopo aver tanto disperso (nelle
idee, nelle decisioni e nel linguaggio) non è facile ridare consistenza,
appunto, ad un pensiero collettivo.
E’ invece
facile prevedere, in questo contesto, che i prossimi mesi saranno politicamente drammatici, come sempre lo sono i tempi che mettono a duro
confronto antitetiche diagnosi e e cure ancora più antitetiche: non sarà, temo, solo tempo di linguaggi incontrollati e di disperate
violenze verbali, che già abbiamo visto dipanarsi con opprimente larghezza.
Sarà anche tempo di lunghi sconforti e di blande speranze “mondane”: ma (cito
ancora De Rita) il nostro robusto “scheletro
contadino”, avvezzo a lunghe fatiche e ad attese tenaci fatte di capacità
di semina, di fiducia nel tempo, di cura caparbia dei germogli, di orgoglio per
i frutti quanto più ne è stata difficile la coltivazione, non ci abbandonerà; è
ancora giusto sperarlo, perché gli esiti migliori che è lecito attendersi da
questo processo che è in corso non sono già morti (e ci sono in corso anche
buone semine).In fondo, tante volte c’è nebbia quando il contadino esce per
arare.
E
poi, nel nostro comune patrimonio di umane saldezze, sono scritte promesse che
ci rimandano a tempi lunghi ma anche ad esiti sicuri: portae inferi non praevalebunt (Mt 16,18).
L’augurio
che formulo a tutti gli amici lo traggo da una frase di sant’Agostino: Deus non deserit, si non deseratur (Dio
non abbandona se non è abbandonato). Proviamo a portarci dietro per tutto
l’anno questa certezza.
Roma, 29 dicembre 2012
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