domenica 9 dicembre 2012

Speranza e restanza


Ai margini della palude
(di Felice Celato)
Prima di re-immergerci nella palude che ci aspetta (e, come  davanti ad ogni palude, dalla riva si può essere certi del fango ma non della tenuta del fondo) eccoci a riflettere ancora un attimo sul Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese (Censis, 2012), anzi sulle Considerazioni generali che, come sempre, lo accompagnano e, per certi aspetti, ne suggeriscono l'interpretazione di fondo.
La ricca messe di dati che - di anno in anno - costituisce il corpo del Rapporto delinea un quadro abbastanza drammatico dello "smottamento" vissuto dal nostro corpo sociale nel corso di questo anno "bisesto".
Non ci sarebbero da coltivare troppi ottimismi se si riflette che la curvatura adattiva (l'imporsi del problema della sopravvivenza) cui si è sottoposta con grande sofferenza la nostra società nel 2012 sembra lungi dall’essere definitivamente approdata a nuovi, stabili equilibri. La crisi - riconosciamolo, l'ha fatto mi pare anche De Rita - è stata da molti largamente sottovalutata, nella sua enorme portata (certamente al di là della nostra - e non solo nostra - possibilità di governarla o di  scivolarci sopra come su una tavola da surf) e nella estremità dei sui rischi: molti non hanno capito che  stavolta non è come spesso sono state le crisi che pure abbiamo affrontato dal dopoguerra in poi; che stavolta rischiamo di romperci le ossa e di dover restare ingessati per almeno una generazione. E direi, leggendo da lontano le cronache politiche di queste ore, mi pare che alcuni seguitino (o tornino) a non capire. 
Eppure, con vece infaticabile e con lucido culto della speranza, Giuseppe De Rita prova a tracciare una prospettiva, ad individuare un percorso, muovendo  dall'identificazione di due dinamiche (entrambe positive) che, forse, si sono parallelamente determinate nella nostra società senza peraltro incrociarsi: da un lato (è la scelta, se vogliamo un po' elitaria ed oligarchica, del rigore, la scelta “degli dèi della città”) una forte capacità di “concentrazione mentale e operativa” nell’arginamento dello “sfascio inerte, quasi un dissolvimento” della nostra immagine nazionale (“dentro e fuori i confini”), nel ricalibrare i nostri “pregiudicati rapporti” coi partner europei e coi mercati, nel riordino dei settori più “trasandati” della nostra società; dall' altro ( è, dice De Rita, " la voglia popolare di sopravvivenza") un moto di profondo adattamento dei comportamenti, puntato sulla "restanza"  (l' attaccamento a ciò  che resta del passato dei nostri valori e, ad un tempo, pure, per nostra inerzia, resta ancora da fare, una specie di "già e non ancora" della nostra storia recente), sulla differenziazione (il voler “essere altrimenti”)  e sul riposizionamento degli atteggiamenti e degli orientamenti.
Queste due dinamiche che sembrano leggersi in profondità nella radiografia  Censis della nostra società, aspettano - è questa la speranza di De Rita - di trovarsi reciprocamente, "per fondare un significativo passo della nostra unità nazionale", sull'orlo di una ulteriore divaricazione e dopo aver vissuto " un reciproco senso di alterità e talvolta di conflittualità",.
Bene; ora, al bordo della palude, possiamo indossare gli stivali: come dicevo all'inizio, del fango che dovremo attraversare possiamo essere ragionevolmente certi; il fondo lo saggeremo nelle settimane a venire, con cautela e paura.
Roma, 9 dicembre 2012

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