Ai margini della palude
(di Felice Celato)
Prima di re-immergerci
nella palude che ci aspetta (e, come davanti ad ogni palude, dalla riva
si può essere certi del fango ma non della tenuta del fondo) eccoci a
riflettere ancora un attimo sul Rapporto
annuale sulla situazione sociale del Paese (Censis, 2012), anzi sulle Considerazioni generali che, come
sempre, lo accompagnano e, per certi aspetti, ne suggeriscono l'interpretazione
di fondo.
La ricca messe di dati
che - di anno in anno - costituisce il corpo del Rapporto delinea un quadro abbastanza drammatico dello
"smottamento" vissuto dal nostro corpo sociale nel corso di questo
anno "bisesto".
Non ci sarebbero da
coltivare troppi ottimismi se si riflette che la curvatura adattiva (l'imporsi
del problema della sopravvivenza) cui si è sottoposta con grande sofferenza la
nostra società nel 2012 sembra lungi dall’essere definitivamente approdata a
nuovi, stabili equilibri. La crisi - riconosciamolo, l'ha fatto mi pare anche
De Rita - è stata da molti largamente sottovalutata, nella sua enorme
portata (certamente al di là della nostra - e non solo nostra - possibilità di
governarla o di scivolarci sopra come su una tavola da surf) e nella estremità dei sui rischi:
molti non hanno capito che stavolta non è come spesso sono state le crisi
che pure abbiamo affrontato dal dopoguerra in poi; che stavolta rischiamo di
romperci le ossa e di dover restare ingessati per almeno una generazione. E
direi, leggendo da lontano le cronache politiche di queste ore, mi pare che
alcuni seguitino (o tornino) a non capire.
Eppure, con vece
infaticabile e con lucido culto della speranza, Giuseppe De Rita prova a
tracciare una prospettiva, ad individuare un percorso, muovendo
dall'identificazione di due dinamiche (entrambe positive) che, forse, si
sono parallelamente determinate nella nostra società senza peraltro
incrociarsi: da un lato (è la scelta, se vogliamo un po' elitaria ed
oligarchica, del rigore, la scelta “degli dèi della città”) una forte
capacità di “concentrazione mentale e
operativa” nell’arginamento dello “sfascio
inerte, quasi un dissolvimento” della nostra immagine nazionale (“dentro e fuori i confini”), nel
ricalibrare i nostri “pregiudicati
rapporti” coi partner europei e coi mercati, nel riordino dei settori più “trasandati” della nostra
società; dall' altro ( è, dice De Rita, " la voglia popolare di sopravvivenza") un moto di profondo adattamento
dei comportamenti, puntato sulla "restanza"
(l' attaccamento a ciò che resta del passato dei nostri valori e,
ad un tempo, pure, per nostra inerzia, resta ancora da fare, una specie di
"già e non ancora" della nostra storia recente), sulla
differenziazione (il voler “essere
altrimenti”) e sul riposizionamento degli atteggiamenti e degli orientamenti.
Queste due dinamiche che
sembrano leggersi in profondità nella radiografia Censis della nostra
società, aspettano - è questa la speranza di De Rita - di trovarsi
reciprocamente, "per fondare un
significativo passo della nostra unità nazionale", sull'orlo di una
ulteriore divaricazione e dopo aver vissuto " un reciproco senso di alterità e talvolta di conflittualità",.
Bene; ora,
al bordo della palude, possiamo indossare gli stivali: come dicevo all'inizio,
del fango che dovremo attraversare possiamo essere ragionevolmente certi; il
fondo lo saggeremo nelle settimane a venire, con cautela e paura.
Roma, 9
dicembre 2012
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