venerdì 4 dicembre 2020

Il primo venerdì di dicembre

La ruota quadrata

(di Felice Celato)

Come sanno i miei lettori, il primo venerdì di dicembre è dedicato all’annuale Rapporto del Censis, quest’anno presentato via Youtube, per le ragioni che (…immagino) tutti conoscono. La versione in streaming dell’evento non consente, ovviamente, di disporre, fresco di stampa, del volume corposo che, come ogni anno, dettaglia i numerosi ambiti della ricerca (l’ho ordinato ma mi arriverà fra qualche giorno); in ogni caso, come ogni anno, sui giornali di domani l’evento troverà ampio spazio con la solita congerie di sottolineature, modulate – ahinoi! – secondo le linee editoriali dei vari media ma, mi auguro, basate sulla lettura attenta dei testi cui io non ho potuto (ancora) accedere.

E tuttavia la presentazione in diretta video e qualche estratto reso disponibile sul sito del Censis consentono già una visione d’assieme sulla quale, di solito, cerchiamo di fare qualche riflessione. 

Credo – da fedele ed antico frequentatore di questi Rapporti del Censis (quest’anno siamo giunti alla 54° edizione) – di poter dire che raramente ho percepito toni tanto allarmati come quelli di quest’anno; e del resto, credo, il tempo che stiamo vivendo – l’anno della paura nera, lo definisce il Censis – potrebbe non consentire toni più quieti. Non solo per la vastità, la profondità e la drammaticità del problema pandemico, ma soprattutto perché mai si era visto così bene come durante quest’anno eccezionale, sotto i colpi sferzanti dell'epidemia, che il virus [si è abbattuto]…. su un paese messo male, con il respiro già guasto… spaventato, dolente, indeciso tra risentimento e speranza… una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti.

In questo contesto, dice il Censis, non deve stupire se, oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell’epidemia saranno molte, diversificate e di lungo periodo. 

Fra queste scorie mi sembra il caso di soffermarmi (per ora brevemente) su una che mi è parsa particolarmente significativa del momento che viviamo, ancorché – a mio giudizio – lentamente e pericolosamente costruita nel tempo di questo nostro inquieto e rancoroso paese.

Si tratta dell’allarmante diffusione di impaurite “filosofie” di ultimativa radicalità, del tipo “meglio sudditi che morti” (quando si valutano le decisioni – lasciate al Governo con discutibili processi giuridico-formali e molta confusione istituzionale – su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale); o del tipo “o salute o forca” (quando si invocano – diffusamente – pene severissime e spropositate per ogni comportamento che paia mettere in pericolo, anche astrattamente, il contenimento della pandemia).

Beninteso, non intendo, qui in alcun modo né prendere posizione su quei discutibili impianti giuridici né, tampoco, eccepire sulla necessità di rendere cogenti le misure che, a torto o a ragione, si sia ritenuto di adottare. Quello che mi interessa sottolineare è proprio l’ultimativa radicalità delle reazioni che i sondaggi messi in essere dal Censis hanno rilevato. Una radicalità in cui pulsano risentimenti antichi e recentissimi di diversa origine, intensità, cause (non ultima la faglia che si va aprendo fra lavoratori “garantiti”, come statali e pensionati, e lavoratori insicuri del loro reddito – le sabbie mobili, le chiama il Censis –  o anche direttamente vulnerabili); una radicalità  figlia, mi pare, della tensione oppositiva che si è andata via via accumulando in questi ultimi anni nella nostra società, disseminata di reciproci disprezzi e di pronti accantonamenti della ragione nel nome di diverse “ragioni di parte”.

Non sono queste – mi pare – le premesse idonee per tentare di mettere insieme (con disperata determinazione e massima urgenza) il progetto collettivo di cui a ragione parla il Censis; un progetto che richiede di rimettere mano al campo, senza volgersi indietro, guardando e gestendo il solco, arando dritti.

Come al solito, spero vivamente di sbagliare; non credo però che ci sarà molto da attendere per verificare lo sperato errore.

Roma 4 dicembre 2020

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

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