Il nostro going concern
(di Felice Celato)
Con l’arrivo dell’autunno, giunge a scadenza questo tragico semestre che abbiamo vissuto, dalla fine di febbraio o dai primi di marzo di quest’anno, fra pandemia, quotidiane statistiche dei contagiati e dei morti, blocco di scuole ed attività produttive, povertà di pensieri, assenza di progetti, polemiche violente, incertezze sul futuro, confusione di linguaggi, traffico disordinato di elicotteri carichi di soldi (degli altri) da versare a pioggia.
Se il nostro Paese fosse un’azienda, tenuta a redigere una semestrale, sarebbe difficile evitare di dar conto delle profonde inquietudini sul going concern (cioè sul presupposto della continuità aziendale) che pervadono le menti di chi è ancora disposto ad usare la ragione.
Eppure: dall’inizio di questo semestre nero, la posizione relativa dell’Italia verso i principali paesi europei non è peggiorata, dal punto di vista pandemico: per numero dei casi, paesi come Spagna, UK, Francia e Germania non sono più messi molto meglio di noi, come all’inizio del periodo (anzi alcuni, come Spagna ed UK stanno molto peggio; e se si considerano le densità dei contagi e i tassi di letalità e di mortalità, la pandemia non appare particolarmente severa da noi rispetto ai diversi altri Paesi nostri fratelli della famiglia Europea). Eppure: il tanto temuto “abbandono” dell’Italia al suo destino intra-Europeo non si è verificato, anzi il nostro Paese ha ricevuto disponibilità di soccorsi (under healty conditions, per fortuna) per grandezze che era difficile immaginare. Eppure: la temuta ripresa del morbo – che pure c’è – non sembra (sottolineo: non sembra) configurare un ritorno alla casella di partenza. Eppure: la lettura dell’esperienza pandemica come opportunità di trasformazione sembra in qualche modo percolata nella percezione di molti, ancorché fatuamente brandita dai nostri ciarlieri politicanti (quasi come per farcene gioire, della pandemia che, finalmente, ci costringerebbe a fare ciò che loro non hanno saputo).
Allora, da che cosa nasce l’inquietudine che immagino debba pervadere l’animo dell’ipotetico redattore della nostra semestrale nera? Certo, dal male in sé e dalla sua natura: questa pandemia mostra tuttora tragiche evoluzioni ed implicazioni che non possono in alcun modo essere sottovalutate nei loro gravami umani ed economici, quand’anche fossero condivisi con altri, più o meno colpiti di noi.
Ma io credo che qualcosa di più profondo angusti le menti che presumano (con o senza fondamento) di voler essere lucide osservatrici della realtà; qualcosa che ha a che fare con il going concern del nostro tessuto sociale, con la sua debolissima collettiva intenzionalità di futuro; con le confuse istanze di sostanziale continuità, non contraddette anzi rafforzate dalla coscienza di necessarie e non secondarie discontinuità, peraltro di difficile gestazione (produttività, crescita, debito pubblico, educazione, etc.).
Per quanto mi riguarda, per quanto cioè mi pare di poter pensare, la mia preoccupazione più grande sta tutta nelle quantità di veleni che sono stato versati nei pozzi, dai quali ogni collettività attinge l’acqua della sua convivenza. Non da oggi e non solo durante la crisi pandemica, ma da tempi meno recenti e per affanni in fondo meno drammatici dei presenti, l’onda lunga della nostra mucillagine ha preso connotazioni rancorose, emozionali, asistemiche, talora tribali o dissociative, in buona parte fondate sul reciproco disprezzo, su relazioni “implose”, su una specie di contrapposizione antropologica che fa regredire la nostra identità collettiva. [Delle parole non mie che ho usato ogni lettore di queste note avrà riconosciuto la paternità]. Se questo è il contesto, se l’acqua che attingiamo ogni giorno dai pozzi della nostra convivenza è avvelenata da questi miasmi, faccio fatica ad immaginare il concorso di volontà verso almeno una serie di obbiettivi condivisi; e non credo che basti il vocale consenso dai più riservato, da ultimo, ai moniti di Mario Draghi; per questo autunno dell’anno e del nostro tempo, abbiamo però bisogno di altro che di consensi vocali!
Non sono un esperto di ecologia e men che meno di igiene idrologica; ma dai racconti di Tucidide ho appreso che persino l'Atene di Pericle forse fu travolta da pozzi avvelenati (dagli Spartani, argomenta lo storico della Guerra del Peloponneso).
Roma 1° settembre 2020
P.S.: sento già (anzi mi pare di vederli!) alcuni amici desolati e deploranti: Eh! Ma che persona negativa sei diventato!
Attenzione però: in tempi di Covid, meglio evitare le persone positive!
Diceva poi un mio indimenticabile capo: quando due persone corrono al buio, affiancate, se incontrano un muro si fa meno male chi se l’aspettava!
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